Penso che fin d’ora, una volta che questa sera di lunedì 21 settembre avremo preso atto del risultato referendario sulla riduzione del numero dei parlamentari, quale che esso sarà, se abbiamo qualcosa da dire questo non riguardi la recriminazione del risultato che avremmo voluto rispetto al sì e al no, ma quale debba essere il dopo referendum: perché in un caso e nell’altro, è il dopo il problema da affrontare.

All’interno del percorso in atto fra Costruire insieme, Politica insieme, esponenti di Retebianca, altri soggetti ancora dell’attuale vasto ma frammentato panorama del cattolicesimo politico del Paese in vista della possibile creazione di un organismo unitario, percorso che i primi di ottobre darà vita a una assemblea costituente, per la verità un nuovo passaggio costituente dopo numerosi altri dai quali finora non è scaturito un seguito, chi scrive aveva avanzato, non solo negli ultimi spesso polemici mesi, alcune proposte di lavoro comune. L’ho fatto fino dai tempi di Carta d’Intesa durante le nostre numerose riunioni anche condividendo documenti specifici, nel corso di convegni, sul Domani d’Italia, in un saggio edito da Rubbettino dal titolo La politica impossibile, cattolici alla ricerca dell’ispirazione cristiana.      

Di una di queste proposte torno a parlare perché essa era davvero – e a mio parere resta, come è evidente in queste ore di attesa referendaria – la dimostrazione paradigmatica di ciò che avremmo potuto fare e non siamo riusciti a fare, di ciò che saremmo potuti diventare e non siamo riusciti a diventare: le “schede della democrazia”. Che cosa sono queste schede? Il passaggio da un attivismo politico, pur generoso ma di fatto inconcludente, a una attività politica rigorosa e concludente. 

Non so più quanti documenti sono stati elaborati in questi ultimi tempi, forse anni,  dalle nostre varie associazioni su una varietà di temi, documenti alle  volte estemporanei, altre volte più meditati, ma sfido tutti noi, sulla base di questa montagna di proposizioni, a rispondere con estrema concisione ed efficacia, a queste tre questioni: quale nuova idea di società hanno oggi i cattolici? Quale nuova idea hanno delle istituzioni? Quale nuova idea hanno dello sviluppo del Paese? Perché se abbiamo la pretesa che il nostro apporto alla vita del Paese è, se non addirittura indispensabile, quanto meno prezioso, o almeno utile, dobbiamo sapere spiegare questi tre perché con proposte e iniziative concrete, non con enunciazioni e richiami generali, per non dire generici, a una tradizione e a una cultura cattolica di riferimento. 

Le tre questioni – società, istituzioni, sviluppo – formano nel loro insieme una visione del governo del Paese, ognuna di loro con una vasta articolazione di proprie connessioni interne e internazionali, ma le tre aree organiche di una visione di governo sono queste. Chi scrive ha proposto più volte di scegliere, per ciascuna delle tre aree, alcune questioni emblematiche, e tradurle in altrettante schede della democrazia, secondo uno stesso schema narrativo: il titolo; la descrizione del problema; il suo inquadramento normativo; i diversi orientamenti culturali fra i quali la DSC; la nostra proposta; una bibliografia finale.

Penso, se avessimo fatto una scheda così sul tema del Parlamento, quanto ci avrebbe resi riconoscibili, e magari intelligente riferimento in queste ore confuse e avventurose. Penso a chi di noi avrebbe potuto concorrere: diversi ex parlamentari, Sandro Diotallevi con la sua esperienza di funzionario parlamentare, Giuseppe Ignesti con la sua sensibilità storica, leggete la sua magistrale introduzione ai discorsi parlamentari di Guido Gonella. Sono alcuni nomi di seniores, ma anche tanti altri avrebbero potuto e dovuto contribuire in una ideale redazione di  queste schede la cui stesura richiede le più diverse competenze.

Che cosa avremmo dovuto affermare nella nostra scheda della democrazia rispetto alle prospettive del nuovo Parlamento che è comunque necessario al di là dell’esito referendario, quel dopo che è il problema? Che noi una soluzione l’abbiamo. Che a una ipotesi di monocameralismo come quella che si profila, specie con la tendenza ad azzerare le differenze anche elettorali nella elezione delle due Camere, noi opponiamo quella di un bicameralismo procedurale, che possa trasformarsi nel tempo in bicameralismo differenziato attraverso una sintetica modifica dell’articolo 70 Cost e una conseguente, convergente riforma dei regolamenti di Camera e Senato.

Penso al principio della “culla” di Leopoldo Elia, oggi più che mai attuale. Quando il primo ramo del Parlamento approva una legge il secondo ramo, se non ha riserve di fondo, concorda e la legge diventa definitiva, al posto dell’attuale defatigante “navetta”. E’ un radicale sveltimento del procedimento legislativo, sarebbe una vera svolta. La Camera che si occupa prevalentemente delle scelte legate ai diritti di cittadinanza, il Senato di quelle legate ai territori. Una riforma così troverebbe la conferma in un referendum ex articolo 138 Cost. Il Mulino e Astrid stanno scrivendo pagine interessanti in materia. 

Herbert Simon è un economista, premio nobel nel 1978. Da economista, ma anche da grande osservatore del gioco degli scacchi egli ha elaborato una teoria chiamata della “razionalità limitata” nei processi decisionali. Simon sostiene che le nostre decisioni sono limitate generalmente da tre fattori: la incertezza sulle conseguenze che derivano da ogni alternativa di scelta; la incompletezza delle informazioni in base alle quali decidere; la complessità della scelta da compiere, che ostacola la effettuazione dei calcoli necessari.  

In questi casi, conclude  Simon, più che sulla scelta ottimale si ripiega su quella ritenuta sufficiente, generalmente conservativa della situazione di partenza: quella della razionalità limitata dai tre fattori che abbiano detto. Se osserviamo le votazioni referendarie negli anni in materia costituzionale, vediamo che nel 2006 e nel 2016, gli italiani hanno bocciato le riforme Berlusconi e poi Renzi perché proponevano d un colpo la modifica di metà e oltre della seconda parte della Costituzione. La cosa non era facilmente comprensibile. Sono state sempre condivise invece le proposte di modifica circoscritte e comprensibili: dalla modifica del titolo V nel 2001 alla modifica dell’articolo 68 nel 1993 – l’autorizzazione a procedere dei parlamentari –  a quella dell’articolo 111 sul giusto processo nel 1999, a quella del 2000 della circoscrizione estero delle due Camere, a quella dell’articolo 51 nel 2003 con l’introduzione delle pari opportunità uomo donna, a quella dell’articolo 81 nel 2012 sul pareggio di bilancio.

Noi stiamo andando verso una nuova assemblea costituente i primi di ottobre. C’è un comprensibile clima di euforia, e anche una certa autoreferenzialità da parte dei più diretti organizzatori. Ma prendendo spunto dal referendum sul numero dei parlamentari, se noi ci fossimo presentati fra alcuni giorni con una serie di schede della democrazia, oltreché sul Parlamento, su migranti, sanità, scuola, terzo settore, ambiente ed economia, rivoluzione digitale …, definendo così,  con un nuovo “centone” non propagandistico ma politico la nostra reale posizione su questi temi sensibili della società italiana oggi, e traducendo ognuna di queste schede in specifiche petizioni parlamentari, compresa una proprio sulle petizioni, lo dico a Diotallevi, muovendo dalla posizione di Antonio Rosmini sulla democrazia partecipativa un secolo e mezzo fa – pensiamo da dove veniamo – io credo  che avremmo trovato un ascolto e un interesse diversi da quelli che l’assemblea potrà avere.