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lunedì, 2 Giugno, 2025
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Referendum, Pd à la carte: Guerini rompe gli indugi. Dimenticare Schlein?

Sui quesiti relativi al lavoro (Jobs Act) la minoranza riformista prende posizione differenziandosi dalla linea ufficiale del Nazareno. Il partito guidato da Elly Schlein non è capace di rappresentare l’Italia antipopulista.

Sui referendum promossi dalla Cgil il Pd si è espresso con quattro sì, come pure sulla cittadinanza, per un totale di 5 sì. Una linea netta? Neanche per sogno. Questa mattina su Repubblica un gruppo di qualificati esponenti della minoranza riformista, di cui Guerini è la figura di maggiore spicco, ha firmato un documento che rimette tutto in discussione: tre no (con il sì ristretto al quesito sugli appalti) e un altro sì, più scontato, sulla cittadinanza. Una posizione che confligge apertamente con quella ufficiale del partito essendo, rispetto ad essa, preoccupata di difendere la sostanza della normativa sul Job Acts.

A compensazione, viene enfatizzata la convergenza con la segreteria a riguardo del quinto quesito. «La cittadinanza non può essere concessa a metà», si legge nella nota; e dunque «è tempo di superare ogni ambiguità». Un’affermazione che colpisce più per la sua forza politica che per la sua novità, se si pensa che il tema è in agenda da almeno due legislature e vede uniti i diversi settori dell’area riformatrice.

Chi tace acconsente?

A questa presa di posizione, coraggiosa benché ancora imprecisa rispetto alla chiarezza adamantina dei 4 sì e 1 no di Libertà Eguale (Morando e Tonini), fanno da contraltare i silenzi dei cattolici di Demos (Paolo Ciani) e di Comunità democratica (Graziano Delrio e Castagnetti). Vale comunque per essi, al pari di tutto il centrosinistra allargato,  comprensivo pertanto di Italia Viva e Azione, il sì sulla cittadinanza.

La reticenza dei cattolici progressisti rende poco attendibile lo sforzo teso a integrare e correggere la linea della Schlein. Sta di fatto che il Pd, con questa varietà di scelte e atteggiamenti, mette in mostra la sua fragilità. A meno di considerare valida e vitale, come da sempre sostiene Tempi Nuovi, la trasformazione operata dalla “cura Schlein” per la quale il Pd non è più il luogo d’incontro di tutti i riformisti (progetto iniziale) bensì la nuova incarnazione della sinistra – e di quella, in particolare, che recupera quel che si può recuperare della tradizione comunista e post comunista.

Un nuovo partito di centro

Diventa perciò inevitabile distinguere – ancora in sintonia di Tempi Nuovi – i “riformisti” dai “radicali”, volendo con questo lessico semplificare molto, per riorganizzare una dialettica che riconosca nella componente cattolico popolare e democratica uno dei pilastri di un nuovo partito di centro.

Non si tratta più di salvare un partito, come che sia, ma di distinguere un campo. I cattolici popolari e democratici devono farsi carico di una seria proposta riformista, ben lontana da tutti gli oltranzismi. Senza più illusioni, perché il Pd non cambia e con Schlein, alla luce della stessa vicenda dei referendum, non cambia la linea che il vasto elettorato antipopulista decisamente rifiuta.