31.2 C
Roma
sabato, 7 Giugno, 2025
Home GiornaleRibellarsi per coerenza: la lezione di Donat-Cattin che oggi manca alla politica.

Ribellarsi per coerenza: la lezione di Donat-Cattin che oggi manca alla politica.

Dal coraggio del dissenso interno ai partiti al declino della politica trasformata in spettacolo. Un confronto con Gianfranco Morgando riaccende il valore dimenticato della militanza culturale.

Ragionando con Gianfranco Morgando nei giorni scorsi a Torino sul ruolo e la prospettiva politica dei cattolici nell’attuale contesto pubblico italiano, siamo arrivati a una conclusione pensando alle origini del nostro impegno politico tra le fila della sinistra sociale della Dc, la storica corrente di Carlo Donat-Cattin, e proprio nel capoluogo piemontese.

Il coraggio di dire no dentro il proprio partito

Morgando, Presidente della Fondazione Donat-Cattin, mi diceva giustamente: “Te lo immagini Donat-Cattin che resta zitto nel suo partito, o nel Governo di cui fa parte, quando non condivide una proposta politica della segreteria nazionale del partito o che abbassa la testa quando la sua cultura politica di riferimento viene emarginata? Si sarebbe ribellato con coraggio e con determinazione. Avrebbe combattuto”.

Un’osservazione sacrosanta, perché oggettiva. Certo, personaggi come Donat-Cattin oggi non ce ne sono più, i partiti contemporanei non sono paragonabili neanche lontanamente all’esperienza e alla prassi della sua Democrazia Cristiana, e soprattutto la politica è ridotta a un banale e incolore spettacolo, dove domina la criminalizzazione dell’avversario e la sua quotidiana delegittimazione morale e politica. Nulla a che vedere, insomma, con la politica con la P maiuscola della cosiddetta Prima Repubblica.

Senza dissenso, i partiti sono comitati dapplauso

C’è però un fatto che resta di stringente attualità: senza il coraggio delle proprie opinioni e, soprattutto, senza la volontà di combattere politicamente all’interno del proprio partito – qualunque esso sia – per far valere le proprie ragioni culturali e politiche, tutto si riduce a una stanca esaltazione di chi, per il momento, ha in mano la guida.

Un atteggiamento penoso, che non merita commenti. Gli esempi non mancano, anche in questi giorni, guardando ai comportamenti di partiti e dirigenti in vista dei referendum.

Dal partito comunità al partito personale

Il punto politico è chiaro. Se non si recupera lo spirito combattivo – ma anche coerente – che ha caratterizzato tanti leader del passato, la politica non uscirà mai dal cono d’ombra in cui è caduta. La sua credibilità, come scriveva Norberto Bobbio già negli anni ’80, non può basarsi sulla “democrazia dell’applauso”. Né può ridursi, oggi, a una investitura plebiscitaria del capo.

Sono i cosiddetti partiti personali – tanto a destra quanto a sinistra – a dominare la scena. E per quanto riguarda i piccoli partiti di centro, il giudizio è ancora più severo: sono spesso scientificamente progettati come strutture di proprietà.

Per salvare la democrazia, serve il confronto vero

Ecco perché oggi più che mai è necessario avere il coraggio e la capacità di praticare un confronto autentico dentro i partiti. È l’unica strada per riscoprire la politica e, insieme, per rilanciare un ruolo serio e nobile della rappresentanza.

E, in ultima istanza, per salvaguardare ciò che ancora resta della qualità democratica del nostro Paese. Il magistero politico dei grandi leader del passato – Donat-Cattin tra questi – rimane, sotto questo profilo, di straordinaria attualità.