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domenica, 16 Novembre, 2025
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Ritorna la categoria dei cattolici professionisti

L’ostilità di Donat-Cattin e Martinazzoli verso intellettuali e politici che pretendevano di rappresentare la parte migliore, più coerente e più titolata del cattolicesimo sociale e politico. Con Ruffini si ripete una storia.

Un mondo variegato e ricco di talenti

Nella lunga, gloriosa, ricca e feconda storia del cattolicesimo politico italiano abbiamo conosciuto non solo le diverse sensibilità culturali che hanno caratterizzato questo mondo, ma anche — e soprattutto — i diversi talenti e le spiccate personalità, a volte molto diverse se non addirittura contrastanti tra loro, che articolavano e componevano i vari tasselli della presenza dei cattolici nella vita pubblica italiana.

“Sepolcri imbiancati” e “cattolici professionisti”

Al riguardo, non possiamo dimenticare due giudizi, ovviamente sferzanti, attribuiti negli anni a una tipologia specifica di cattolici impegnati nella vita pubblica. Carlo Donat-Cattin, durante la Prima Repubblica, bollava alcuni suoi compagni di viaggio come “sepolcri imbiancati”.

Mino Martinazzoli, nei primi anni Duemila, con maggior eleganza, li definiva “cattolici professionisti”. In entrambi i casi si trattava di esponenti del mondo cattolico che, pur senza ostentarlo spudoratamente, pretendevano di rappresentare la parte migliore, più coerente e più titolata del cattolicesimo politico. Una pretesa spesso alimentata da stampa compiacente e progressista.

Il modello Prodi

Per capirci, il percorso di Romano Prodi — “cattolico adulto” e modello del “cattolico doc” — risponde a questo schema: cattolico di sinistra, salottiero, legato ai gangli del potere, non riconducibile al tradizionale cattolicesimo popolare e sociale che nella Dc ebbe ben altri riferimenti.

Il caso Ruffini

Oggi, assistiamo alla discesa in campo di Ernesto Maria Ruffini, leader del movimento “Più uno”, noto ai più come “mister tasse” per il suo ruolo ai vertici dell’Agenzia delle Entrate. Al di là del progetto politico ancora confuso e aleatorio — al netto della predicazione dei soliti valori — colpisce la candidatura diretta a Presidente del Consiglio per il campo alternativo al centrodestra.

Un modello che ricorda la vecchia polemica nel Pci sui “migliori” che aspiravano alla Direzione del partito: ora, però, si parla nientemeno che di Palazzo Chigi.

La domanda inevasa

Al di là delle legittime ambizioni di potere, resta una domanda: in virtù di cosa Ruffini dovrebbe candidarsi a Premier della coalizione progressista? Per le sue capacità manageriali? Forse. Perché “cattolico adulto”? Probabile.

O, come avrebbe detto Martinazzoli, perché è un “cattolico professionista”: migliore e più credibile degli altri. E quindi, più titolato a guidare.

Morale

La storia, si sa, non si ripete mai. O meglio — per non essere troppo dogmatici — si potrebbe dire che, in questo caso specifico, la storia non si ripete… “quasi” mai.