Seppur sommersi, purtroppo, da un ritorno devastante della pandemia che colpisce  orizzontalmente tutto il paese, la politica sta riproponendo uno spettacolo antico se non  addirittura a volte un po’ grottesco. E la vicenda del rinnovo dell’amministrazione  capitolina, come quella del capoluogo torinese, offrono una chiave di lettura alquanto  anacronistica e singolare.  

Dunque, accanto all’ennesimo ricorso alle primarie individuate pilatescamente come la  soluzione dogmatica di tutti i problemi, noi assistiamo anche ad una strana procedura per  la scelta del candidato a Sindaco in una grande città come Roma. Per non parlare del  capoluogo torinese. E questo lo dico per una ragione semplice, anzi addirittura  semplicissima. E cioè, se il dato politico centrale è quello di ridare vigore, slancio,  prospettiva ad una grande città dopo essere stata governata all’insegna della grigia ed  incolore ordinaria amministrazione – per usare un eufemismo – è giocoforza che chi vuole  ricostruire una alternativa politica e programmatica non può non partire anche da chi deve  incarnare quel progetto e quella visione di cambiamento e di profonda inversione di rotta.  Se, per arrivare al nocciolo, c’è un candidato che potrebbe incarnare quella prospettiva ed  incrociare quella domanda di profondo cambiamento, ma per quale motivo misterioso  quella candidatura, se è largamente condivisa come ovvio, deve essere accompagnata da  uno stuolo di altri candidati – tutti rispettabili, per carità – ma che hanno come unico  obiettivo quello di indebolire la miglior carta vincente?  

Un tempo era la cosiddetta politica, cioè la qualità, il coraggio e l’autorevolezza dei gruppi  dirigenti di un partito, a sciogliere il nodo di fondo – cioè la selezione della classe dirigente  politica ed amministrativa – senza ricorrere a stratagemmi organizzativistici e senza  nascondersi dietro astruse e sempre più ridicole liturgie regolamentari. Perchè il continuo  confronto politico e mediatico tra un candidato – per svariati motivi ritenuto il più  competitivo nella corsa amministrativa – e altri 5 o 6 o 7 altri candidati non solo indebolisce  il campo politico che somma tutte queste candidature ma, addirittura, rischia di rafforzare i  competitor che, su questo terreno, sono meno farraginosi e più scaltri.  

Ecco perchè quando si parla, o si strapparla, di primarie come dogma a cui tutti devono  continuare ad inchinarsi per risolvere i nodi che si devono sciogliere invece in sede politica  – semprechè la politica esista ancora – si rischia solo di creare ulteriore confusione.  

Ma, comunque sia, siamo fiduciosi che, ad un certo punto, prevarranno il buonsenso e  soprattutto la professionalità politica dei gruppi dirigenti dei partiti. Di quelli che rimangono,  come ovvio.