14.5 C
Roma
mercoledì, Aprile 16, 2025
Home GiornaleRoosevelt e Teilhard de Chardin, per un “fronte umano” della politica

Roosevelt e Teilhard de Chardin, per un “fronte umano” della politica

Il gesuita francese aveva formulato la “legge di convergenza” secondo cui “ciò che sale, converge”. Assistiamo oggi, apparentemente, a una dinamica inversa: di discesa e di divergenza. Tuttavia l’avvenire è aperto.

Nel 1950 Giorgio Sebregondi accostò, sulle pagine di “Cultura e realtà”, John Maynard Keynes (1883-1946) e Jacques Maritain (1882-1973) attraverso le rispettive magna opera del 1936 così dense di significati per l’organizzazione politica e per il futuro dell’umanità. Ci pare invece che, su questi temi, manchi – e qui non si può che abbozzarlo – un accostamento tra Franklin Delano Roosevelt (1882-1945) e Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955), dei quali ricorrono questa settimana due importanti anniversari: l’ottantesimo della morte per il primo (12 aprile 1945) e il settantesimo della morte per il secondo (10 aprile 1955).

La spinta ci viene dalla bella biografia di Mercé Prats su Teilhard appena apparsa in italiano per i tipi della Libreria Editrice Vaticana e presentata, come ha ricordato questo giornale, pochi giorni fa a Roma. Una spinta e uno spunto: Prats, infatti, non cita il nostro Roosevelt (cita Theodore Roosevelt e la sua ecologia politica); ma dedica alcune pagine a una lettera del gesuita Teilhard al confratello Henri de Lubac (“Tremo all’idea di veder stabilirsi un’identificazione tra fascismo e cristianesimo”, gli scrive nel 1936) e a Salviamo l’umanità di Teilhard (sempre del 1936). In queste pagine si avverte un forte profumo rooseveltiano.

“Oggi – scrive Teilhard – tre, o esattamente quattro correnti, si urtano e si sballottano. Al centro l’ormai vecchia Democrazia che sembrava, da meno di cinquant’anni, aver conquistato definitivamente il Mondo. A sinistra e a destra, in piena crescita, il giovane Comunismo e il giovane Fascismo. Al di sopra infine (per lo meno così esso crede), il Cristianesimo, del tutto sbalordito però dai turbini che la lotta fa salire fino alla sua anima”. Sono parole scritte nel contesto e sullo sfondo della guerra civile spagnola, ma non solo.

Prats ricorda anche un “programma” di Teilhard in quattro punti: “1) Ciò in cui si deve credere: l’avvenire dell’Umanità; 2) Ciò che si deve vedere: la convergenza umana; 3) Ciò che si deve fare: il fronte umano; 4) Il posto del Cristianesimo”. Sono quattro punti di attualità estrema per la politica moderna. E cita, da quello scritto del 1936, queste parole: “Se un fronte umano (sono parole di Teilhard) incominciasse a formarsi, a fianco degli ingegneri occupati a organizzare le risorse e i collegamenti della Terra, ci vorrebbero altri “tecnici” unicamente incaricati di definire e di propagandare gli scopi concreti, sempre più elevati, sui quali sarebbe necessario concentrare lo sforzo delle attività umane”. E facciamo, per ora, punto qui.

Dobbiamo solo ricordare che in quegli anni Roosevelt andava svolgendo la più ampia e concreta opera di elevazione, umana e sociale, mai compiuta dalla politica moderna (il New Deal). Tanto che all’inizio di quella esperienza Keynes gli aveva scritto: “Se lei dovesse fallire, in tutto il mondo sarà gravemente pregiudicato il cambiamento su basi razionali, e in campo rimarranno a scontrarsi solo l’ortodossia e la rivoluzione. Ma se lei avrà successo, ovunque metodi nuovi e più coraggiosi verranno sperimentati, e potremo considerare la data della sua elezione come il primo capitolo di una nuova èra per l’economia”.

Tra tentativi ed errori, Roosevelt sarebbe andato avanti, fino a mettere al centro della sua azione – interna e internazionale – le celebri quattro libertà di cui al discorso del 6 gennaio 1941 (libertà di culto; libertà di espressione; libertà dal bisogno; libertà dalla paura). Fino a immaginare la costruzione del più ampio sistema di collaborazione internazionale mai concepito, sorretto da enti nuovi, sopranazionali atti a coprire i “costi fissi” della vita delle persone (dalle crisi economiche e finanziarie alle epidemie, alle malattie) e a potenziarne prospettive, umanità e scopi (dal cibo alla cultura, al lavoro). Nel 1945 – pochi mesi dopo la morte di Roosevelt – sarebbe nata, per l’impulso politico da lui generato in vita, l’Organizzazione delle Nazioni Unite con le sue agenzie collegate, quelle precedenti e quelle successive (dalla Banca mondiale alla FAO, dall’Organizzazione internazionale del lavoro all’OMS, all’Unesco etc.). Aderendo dunque con l’azione concreta alla “legge di convergenza” formulata da Teilhard secondo cui “ciò che sale, converge”.

Assistiamo oggi, apparentemente, a una dinamica inversa: di discesa e di divergenza. Quelle agenzie e quella complessiva visione patiscono i colpi del neonazionalismo e del populismo di ritorno.

Ma torniamo a Teilhard. In uno scritto trovato tra le sue carte (L’essenza dell’idea di Democrazia), composto a Parigi il 2 febbraio 1949 e preparato in risposta a un’indagine dell’Unesco (sarebbe apparso in L’Avenir de l’Homme, Seuil 1959), Teilhard scrisse che la democrazia, per esistere, aveva bisogno di una forte corrente di libertà e originalità individuale, ma anche di una compensatrice convergenza e fraternità di fondo (“giudiziosa mescolanza tra lasciar fare e fermezza. Problema di misura, di tatto, di “arte”, per il quale non si possono dare regole assolute”; citiamo dall’edizione italiana, Jaca Book 2011). E concludeva che “la realizzazione sulla Terra di una organizzazione sociale veramente democratica dipende, alla fin fine, dal mantenimento e dall’accrescimento nella coscienza umana di quello che ho definito Senso della Specie”.

Ebbene, a quella coscienza politica comune, a quel “Senso della Specie” Roosevelt aveva, insieme alla moglie Eleanor, contribuito più di ogni altri. È politicamente possibile generare un fronte umano.

Che non prevalga, nel confronto con l’oggi, un pur comprensibile (se momentaneo) sconforto. Ogni vetta conquistata – moralmente, politicamente o tecnicamente – una volta nella Storia può, con impegno, esser riconquistata di nuovo in futuro! L’avvenire del mondo non è scritto. L’avvenire è aperto.

 

 

Giovanni Farese è Professore ordinario nell’Università Europea di Roma