Nel dibattito di questi giorni, mentre si attende con trepidazione la nomina del nuovo Papa, il Vescovo di Roma, si percepisce una rinnovata attenzione alle dimensioni sociali e umanitarie del messaggio cristiano. È giusto e necessario riconoscere il valore di questo impegno: fin dalle origini, la Chiesa ha avuto tra le sue opere la cura dei poveri, la giustizia, la promozione della dignità umana. Tuttavia, è fondamentale ricordare che la missione ecclesiale non può esaurirsi in una prospettiva orizzontale.
Il Vangelo non è una semplice proposta etica o un progetto di riforma sociale. È l’annuncio di un evento trascendente: l’Incarnazione del Verbo, la sua Passione, Morte e Risurrezione. Il Figlio di Dio è venuto nel mondo non solo per insegnare ad amare. È venuto per redimere l’uomo, restituirgli la comunione perduta con il Padre e aprirgli l’accesso alla vita eterna. Questa dimensione escatologica e soteriologica è il cuore pulsante della fede cristiana.
Ridurre il cristianesimo a un umanitarismo generico significa oscurare la sua unicità: Cristo non è un filosofo morale né un attivista sociale ante litteram, ma il Salvatore. Come affermava San Paolo: «se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede» (1Cor 15,14). L’agire della Chiesa trova senso solo in questa realtà pasquale. Ogni opera di carità, ogni sforzo per la giustizia, ogni dialogo con il mondo ha come fine ultimo la salvezza delle anime, non il solo benessere terreno.
Non si tratta di negare l’importanza dell’impegno umanitario, ma di rifiutare una visione riduttiva del mistero cristiano. Il Concilio Vaticano II, nella Lumen Gentium, afferma che la Chiesa è «in Cristo come un sacramento, ossia segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano». Le due dimensioni — verticale e orizzontale — non si escludono, ma l’una trova il suo fondamento nell’altra.
Oggi più che mai è necessaria una rievangelizzazione del cuore della fede: non solo un Cristo che accompagna, ma un Cristo che salva. Non solo un Vangelo che consola, ma un Vangelo che converte. La carità autentica nasce dalla verità, e la verità del cristianesimo è che siamo stati creati per Dio, redenti da Cristo e chiamati alla gloria eterna.
In un tempo in cui si corre il rischio di ridurre il sacro al sociale, la teologia è chiamata a essere memoria viva del Mistero. La Chiesa non è una ONG spirituale, ma il Corpo mistico di Cristo. E il suo compito primario resta annunciare che «non c’è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12).
Ora, inquesto tempo di cambiamento e discernimento, la comunità ecclesiale è chiamata a vivere con maturità spirituale e con lo sguardo saldo su Cristo. Non si tratta di contrapporre la dimensione sociale a quella spirituale, ma di riaffermare che ogni autentico impegno umano nasce dalla fede, e a essa deve tornare. Come discepoli del Signore, non possiamo permetterci di annacquare il Vangelo, né di adattarlo alle mode culturali, ma dobbiamo annunciarlo nella sua interezza: «annunciare Cristo crocifisso» (1Cor 1,23), potenza di Dio e sapienza di Dio.
La Chiesa ha il compito di restare fedele alla propria identità, custodendo ciò che ha ricevuto (cfr. 2Tm 1,14) e trasmettendolo con amore, senza timore, con lo sguardo rivolto non solo alle esigenze dell’oggi, ma alla gloria futura che ci è stata promessa. Solo così la sua missione sarà davvero feconda, e il mondo potrà conoscere non solo un Dio buono, ma il Dio che salva.