È vero, ci si può aggrappare a Draghi: sta facendo bene e può dare molto al Paese. Tuttavia la sinistra deve dimostrare che il suo messaggio torna alle radici della grande battaglia storica per l’emancipazione (e l’autentica libertà) dei ceti popolari. Grazie anche al decisivo apporto dei cattolici democratici.
Alcune delle voci più autorevoli nel centrosinistra pongono il tema della crisi della leadership del segretario della Lega, Matteo Salvini. Trattandosi di un leader che come, nell’ordine, Mariotto Segni, Silvio Berlusconi, Matteo Renzi, Beppe Grillo, ha beneficiato di un’ondata popolare di consenso alimentata da scontento e speranze, che va ben oltre la sua capacità di attrarre consensi, c’è da chiedersi cosa possa significare per il nostro sistema politico l’inizio del declino del leader leghista.
La strategia del Pd punta ad evidenziarne le contraddizioni, senza peraltro riuscire a recuperare quei voti di operai iscritti alla Fiom e affini, che vota(va)no Lega. Ma la disillusione di una buona parte dell’elettorato della Lega procede in forma spontanea. E si somma alla tradizionale area dei delusi di sinistra, di quanti hanno percepito la metamorfosi dei vertici della sinistra italiana più come un cambio di padrone che come un’evoluzione: dalla sudditanza al Pcus a quella ai big del capitalismo. Si aggiunge pure ai tanti elettori disorientati dalla diaspora democristiana e ai milioni di elettori ormai pentiti di aver votato i 5 Stelle. A cosa potrà dare luogo tutto ciò?
Visto in questa luce l’inesorabile declino di Salvini risulta interpellare l’intero sistema dei partiti. Posto che vi è un elettorato deluso o in ricerca che non è mai stato così ampio, costituito da indecisi e potenziali astensionisti, che da più parti viene riconosciuto essere oggi il primo partito, la domanda da porre, a mio avviso, dovrebbe esser la seguente: quali sforzi si intende mettere in atto nell’area del centrosinistra per ridurre il bacino dell’astensionismo, per dare forza a progetti di avanzamento sociale, impedendo che tale bacino ridiventi una palude in cui sguazza il populismo?
In mancanza di ciò a dettare i tempi della politica europea rischiano di essere gli scenari francesi dove due elettori su tre disertano le urne e dove Marine Le Pen, ormai sdoganata e mondata come una risaia dal mainstream, propagandata all’inverosimile come fosse un vaccino, ciononostante viene rifiutata dal grosso dell’elettorato meno politicizzato, per lo più orfano del centro.
Le élites transalpine sanno benissimo che la Le Pen potrebbe essere l’ultima fermata della V Repubblica, oltre alla quale può riapparire la ghigliottina, può riaffiorare una mai sopita indole rivoluzionaria.
Soprattutto nel caso in cui la politica non saprà affrontare in modo deciso e responsabile, senza deleghe tecniche, tre temi che appaiono cruciali: la questione sociale nelle sue connessioni con l’economia e la finanza, la questione sanitaria e la questione del governo delle nuove tecnologie che tira in ballo la possibilità di sopravvivenza della democrazia.
Sono temi profondamente intrecciati fra di loro. In particolare le decisioni sulla fine dell’emergenza sanitaria piuttosto che sulla prosecuzione indefinita dell'”era delle pandemie”, incidono sui tempi del progetto di valuta digitale delle banche centrali, di “stato etico”, nella peggior accezione dell’espressione, della messa a punto del sistema dei crediti sociali e dei necessari trattamenti “sanitari” necessari per impiantare nell’organismo di tutti gli umani (da cui si capisce il senso, profondamente disumano, dello slogan “vaccinare il mondo”) i dispositivi idonei al tracciamento totale e al condizionamento mentale che ridurrà (almeno nei progetti di chi lo vuole realizzare) i non appartenenti all’élite ultraricca a dei banali automi.
Se le risposte non saranno all’altezza della soluzione alle suddette minacce, nei prossimi mesi tutto potrà succedere e si corre il rischio che la storia possa incanalarsi per qualche anno in sentieri per nulla auspicabili.
Anche in Italia rischia di accadere qualcosa di simile alla Francia. Una volta recisi i fili della rappresentanza i gruppi dirigenti dei partiti, in compagnia di quelli dei corpi intermedi, risultano non più capaci di parlare e di capire oltre la loro cerchia. E anche qui assistiamo a una ripulitura mediatica, decisa molto in alto come già avvenne con Fini, degli eredi diretti della destra totalitaria. E ciò nonostante la Meloni non sembra riuscire a sfondare. Non riescono, per fortuna aggiungerei!, a incanalare verso la pasionaria della Garbatella, la diffusa richiesta di una svolta seria, democratica, antipopulista che dilaga nei ceti intermedi.
Credo, dunque, che non ci si possa accontentare di tirare un sospiro di sollievo per il tramonto politico di Salvini.Draghi sta facendo molto bene ma non si può pensare solo di stare sotto le sue ali senza iniziativa, occorre rischiare qualcosa per dare forma politica alla voglia di centro, seppur inespressa, che emerge da uno scontento crescente e ancora vagante nel suo percorso, per fare il modo che l’approdo di questo risulti compatibile con la democrazia.