La metafora della ruota che gira, evocata da Casini nel suo intervento in Senato durante il dibattito che ha poi consegnato Salvini alla giustizia ordinaria per la vicenda della nave Gregoretti, ha più di un significato storico e politico, oltre l’allegoria popolare che vuole che chi oggi giudica potrà attendersi di essere un domani giudicato. Detta dal parlamentare di più lungo corso, uomo di centro, moderato e prudente ha il significato del ricordo e quello della profezia. C’entrano i corsi e ricorsi di Vico, il “verrà un giorno” di Manzoni e la sequela infinita dei ribaltamenti che nella storia hanno spesso scardinato le sicumere del presente. Brutta pagina quella scritta il 12 febbraio al Senato della Repubblica: perché la politica – che sempre rivendica la propria autonomia con la triplice benedizione di Montesquieu – ha rinunciato a risolvere una questione politica nel suo ambito naturale, caricandola di significati giustizialisti e di un livore punitivo che stona se proviene da fonti solitamente ispirate al buonismo, al perdonismo e al garantismo.
Quei banchi vuoti del Governo (anche se la sua presenza non era prevista ne’ obbligatoria) la dicono lunga su un atteggiamento pregiudiziale di disdegno e di disprezzo, esprimono, insieme agli interventi dei senatori di maggioranza, una precisa volontà di far fuori un avversario politico consegnandolo alla magistratura. C’erano tutte le premesse per affrontare una partita che comunque la si inquadri ha visto l’Italia confinata dal resto d’Europa al ruolo di frontiera rispetto al tema dell’immigrazione che, nei suoi risvolti sociali, umani, di gestione e di assunzione di responsabilità, investe politicamente e istituzionalmente l’intero vecchio continente. La logica del capro espiatorio, oltre le allegorie delle felpe , del Papeete e del citofono, ha prevalso: troppo ghiotta l’occasione di cedere alle lusinghe del moralismo e dei luoghi comuni. Per la prima volta nella storia Repubblicana un Ministro viene portato sul banco degli imputati per scelte compiute nell’esercizio delle sue funzioni. Chi ricorda i dettagli della nave Diciotti non può non trovarvi analogie: in entrambi i casi le decisioni del momento erano il risultato di una concertazione e di intese a livello di Governo: per questo l’assenza del Presidente del Consiglio di oggi (peraltro lo stesso di allora) e dei Ministri in carica nella fase topica del dibattito parlamentare ha assunto un significato più che simbolico entrando nell’alveo della scissione di responsabilità politica e- visto come si son messe le cose – di devoluzione a percorrere la via giudiziaria.
Una scelta di indirizzo politico deve trovare il suo ambito naturale di confronto in sede politica.
L’autorizzazione a procedere in sede giudiziaria assume le sembianze di una rinuncia ad affrontare la questione per le implicazioni e i risvolti politici che intrinsecamente reca con sé, nella fattispecie dell’episodio contestato ma anche e soprattutto come scelta strategica da approfondire, dibattere ed assumere considerato il ruolo di Cenerentola dell’Europa assegnato all’Italia per mere ragioni geografiche prevalenti sulle ragioni consustanziali al contesto Comunitario dell’U.E. che postulano invece una risposta e una linea di indirizzo condivisa e coesa.
Siamo tutti pronipoti del Risorgimento che portò all’unità nazionale gettando le basi di quei principi fondamentali che furono fatti propri nella Costituzione repubblicana e che abbiamo trovato fino ad oggi nei testi universitari di diritto, poiché riguardano gli elementi costitutivi dello Stato moderno: popolo, territorio e potestà di imperio.
La demagogia populista non è una malattia che affligge solo la destra, come asserisce qualcuno, ma investe l’intera partitocrazia parlamentare: se oggi viene comodo usarla come clave per bastonare l’avversario significa che accoglienza, integrazione, inclusione sono parole cariche di retorica e vuote di contenuti sostenibili. Si è perduta l’occasione per un dibattito politico serio in sede Parlamentare e il problema resta.
Disquisire del tema dell’immigrazione solo in base a principi astratti e teorici significa eludere i temi demografici, della sicurezza nazionale, del fondamentalismo islamico come pericolo sempre incombente.
Ma significa anche legittimare – con la scelta di aprire porti e frontiere a tutti senza un vaglio di merito circa le ragioni di opportunità, fattibilità, rispetto di una sistemazione dignitosa e possibile degli immigrati – quella evidenza assai bene rimarcata da Luca Ricolfi nel suo recente libro “La società signorile di massa” , laddove evidenza il lento costituirsi e consolidarsi di una vera e propria “struttura paraschiavistica” relegata ai margini del minimo sindacale del decoro e del rispetto.
Disdegnando il timore che una immigrazione senza regole e senza limiti diffonde nei sentimenti popolari.
Ergersi a paladini di scelte umanitarie non suffragate da una solida organizzazione ricettiva ed autorelegarsi a supplenti di altri Paesi che scelgono vie ben diverse e di autotutela, dirottando in Tribunale un ex Ministro non risolve il problema reale e percepito dai più. Diventa solo una scorciatoia strumentale per usare la giustizia per fini politici.