È un nodo che sembra incidere poco sulla campagna elettorale. Eppure, quale che sia il governo che verrà, appare dirimente l’identificazione di una linea a questo riguardo. Non può esistere nessuna maggioranza degna del nome che non abbia un’idea comune delle relazioni internazionali
Marco Follini
La disputa sulle sanzioni non è campagna elettorale. È agenda di governo. Nessuna coalizione, nessuna ipotetica maggioranza, può reggere se si divarica su di un punto così cruciale. E il gioco a minimizzare non rafforza il profilo del governo che verrà, quale che sia.
A destra Meloni e Salvini hanno idee agli antipodi. Lei professa la più rigorosa ortodossia “occidentale”, insistendo sulla linea del maggior rigore possibile. Lui insinua quasi ogni giorno il dubbio che invece si dovrebbe allentare la pressione sulla Russia di Putin. In altre parole, lei (che è all’opposizione) fa sua l’agenda Draghi, almeno su questo punto. Mentre lui (che pure ha fatto parte di quella maggioranza) intona il controcanto.
A sinistra le cose non vanno molto meglio, però. Tant’è che il Pd si muove sulla linea del sostegno all’Ucraina, mentre il M5S lascia intendere di essere molto perplesso, per usare un eufemismo. Si dirà che questa è una delle ragioni che spiegano la fine anticipata di quella collaborazione. Ma non si dice, almeno non da parte di tutti, che questo è anche un ostacolo insormontabile all’idea di riprendere un legame politico di qui in poi.
Personalmente, rivendico il fatto che non può esistere nessuna maggioranza degna del nome che non abbia un’idea comune delle relazioni internazionali. Ne va della credibilità del sistema paese. Eppure l’argomento non sembra di gran moda. Tant’è che tutti recitano la loro particina incuranti del fatto che questa confusione ci rende tutti meno credibili presso il mondo che conta.
Fonte: La Voce del Popolo – 8 settembre 2022.
(L’articolo è qui riproposto per gentile concessione)