Satnam, lo strazio di morte nell’agro pontino.

Resterà il dubbio se dalle paludi pontine emergerà una speranza a cui di nuovo aggrapparsi o se, dal loro fondo, un braccio la tratterrà per altro tempo ancora.

Ci sono fatti che hanno il vizio di lasciarti di stucco, talmente tanto stucchevoli che, per legge fatale degli opposti, ti ci abitui subito. Quindi te li lasci cadere di dosso perché il male oggi è morto, lascia segni di qualche minuto e non oltre, ha smarrito la sua identità, non fa chiasso e si chiede che senso abbia e cosa ci stia a fare al mondo, tanto che forse sta per abbandonare il campo. Si spera sia un trucco degli uomini per farlo fuori definitivamente.

Satnam vuol dire “la vera identità”, così si chiama l’uomo indiano che nei campi dell’agro pontino ci ha rimesso un arto, maneggiando un macchinario agricolo e poi, per le conseguenze dell’incidente, anche la vita. Sembra che il responsabile dell’azienda abbia fatto “l’indiano” scaricando la vittima, al pari di una cassetta di ortaggi, nella sua bicocca per poi darsela a gambe.

Satnam non è stato un diavolo da cui guardarsi e neanche l’invincibile Batman che alla fine la spunta sempre in ogni scazzottata. La sua vera identità e la sua sorte è stata di essere un bracciante, di quelli che, a schiena piegata, lavorano nei campi senza che qualcuno controlli davvero su condizioni di lavoro da inaccettabile sfruttamento. Sono reclutati da caporali, gente di testa fine che sanno scegliere quelli dal fisico robusto che possano dare la miglior resa. Sembra quasi un anagramma. Caporale si traduce nella lingua inglese in “corporal”, qualcuno comunque che si preoccupa di fisicità, pezzo più pezzo meno.

Al momento del fattaccio per il nostro bracciante d’Oriente nessuno si è sbracciato o si è adoperato più di tanto. È stato abbandonato nel mentre, sembra, si siano chiamati i soccorsi. Si potrebbe dire che, per lo schifo, c’è da farsi cadere le braccia per terra. Forse Satnam ha urlato di dolore e di terrore ma è stato come predicasse a braccio o a vento e nessuno lo ha accompagnato d’urgenza al primo soccorso sanitario possibile. Il suo capo non gli ha offerto il braccio per un immediato aiuto, forse perché non ha saputo recitare a braccio, improvvisando una parte imprevista. In questo caso non si potrà dire di braccia rubate all’agricoltura ma semmai il contrario e il responsabile sarà raggiunto dal braccio della giustizia ma a Satnam nessuno restituirà la vita.

Siamo di fronte al braccio violento di una mancanza di umanità. Ciò che è certo che da quelle parti Dante non sia stato letto: ”La bontà infinita ha sì gran braccia…” perché ci sono campi di lavoro troppo simili al braccio della morte. Prima o poi qualcuno deve lasciarci la pelle.

Questa volta è stato il turno di Satnam ma sarà materia anche per altri. Resterà il dubbio se sarà sepolto insieme al suo braccio o ne approfitteranno per un carico più leggero.   Resterà il dubbio se dalle paludi pontine emergerà una speranza a cui di nuovo aggrapparsi o se, dal loro fondo, un braccio la tratterrà per altro tempo ancora, fino ad annegarla per sempre.