Scintille di Luce. Un ricordo di Ersilio Tonini.

Scintille di Luce. Un ricordo di Ersilio Tonini.

Ricordo del Cardinale Ersilio Tonini a 6 anni dalla sua scomparsa

Incontrare uomini come il Cardinale Ersilio Tonini è un’esperienza che può concedere indicibili emozioni: così era successo anche a me che ho avuto questa straordinaria opportunità.
Tornando da Ravenna portavo il dono di un incontro-intervista e il ricordo di un contatto umano e spirituale che mi ha arricchito come forse mai mi era capitato nella mia vita.
Probabilmente nessun’altra occasione di riflessione e di meditazione avrebbe potuto restituirmi il senso più autentico dell’intimità spirituale. Da persone di questa levatura morale si possono ricevere parole di consolazione e di incoraggiamento che –come scintille di luce – riescono ad illuminare la nostra esistenza per capire il mondo intorno a noi, dare un senso al nostro cammino terreno nella ricerca della verità e del bene ed aiutarci ad essere migliori.

Avevo trascorso quasi una giornata in sua compagnia ma è stato come se ci fossimo conosciuti da sempre: mi aveva accolto come un padre e nel suo argomentare la figura paterna era riecheggiata come memoria della sua stessa vita e come spiegazione del mistero dell’incarnazione e del sacrificio “li hai dati a me e io li ho custoditi”: il concetto di paternità come affidamento, condivisione e protezione.
Nel suo studio, ricco di libri di religione, cultura, teologia, filosofia, storia, sotto il crocifisso spiccava una enorme foto del 1915, dove era ritratto – bambino di un anno – con sua madre.
E i suoi genitori erano sempre sullo sfondo dei suoi pensieri, i veri valori sono quelli che si ricevono in famiglia e lui mi aveva aperto lo scrigno di quelli che apprese e imparò fino a dare un senso alla sua stessa vita.

“Mio padre era un bifolco, cioè il capo dei contadini. Alla mattina ci svegliava prima delle cinque per mungere le mucche. Una mattina ci disse: “Uno di voi fratelli non vuole fare più questa vita, non gli sta più bene, vuole andare in America a cercare fortuna. Io non sono d’accordo ma non posso impedirgli di partire. Ma lascio a voi e a lui che parte questo insegnamento”….. “Nella vita contano tre cose: un tozzo di pane, volersi bene e la coscienza netta”. Ho ripensato in questi anni a quell’aneddoto e applicandolo alla vita di oggi penso quanto sarebbe difficile trasmettere e accettare quell’insegnamento paterno (ammesso che ci siamo padri ai nostri giorni capaci di impartirlo) : ciò che conta infatti è il profitto, il prevalere del denaro come valore assoluto, la cancellazione dal vocabolario corrente della parola ‘accontentarsi’.
La ricerca della felicità e della serenità interiore nelle piccole cose e nella gratuità dei gesti.
Dimostrandomi che quelle parole che gli insegnò suo padre, umile agricoltore, non sono dissimili dalle verità del Vangelo e della filosofia e leggendo insieme a me alcune pagine di Platone dove la preghiera di Socrate ha un’invocazione perfettamente sovrapponibile:” O Dio, concedimi di essere più bello di dentro che di fuori e fai che l’esterno di me sia conforme all’intimo di me”.

Si era fatta l’ora di pranzo ma lui leggeva, con calma: “E’ importante – mi diceva – trovare le parole giuste per capire”.
Pensando alla frettolosa e superficiale vita di tutti i giorni mi ero commosso per questo suo pacato invito alla riflessione e ne ho sempre fatto tesoro.
La sua grande umanità mi aveva riconciliato con la speranza, la sua ricchezza spirituale mi aveva reso partecipe – io, piccolo uomo e peccatore – di un grande respiro planetario, la sua profonda, aperta e illuminata cultura mi aveva disvelato una dimensione universale e affatto dogmatica del processo di ricerca della verità, che è connaturato all’uomo e appartiene alla storia tutta.

Che cosa dunque ricorderò e serberò al mio cuore come il dono più grande e sorprendente di questo grande uomo di Dio, di questa “montagna” che per prima vedeva la luce (per usare un’espressione di S. Agostino da lui citata), di questo ‘grande vecchio’ così aperto all’ottimismo e alla speranza?
Direi soprattutto la sua “innocenza”: l’aver attraversato quasi un secolo di storia, conoscendo e vivendo tutta la gamma dei sentimenti e dei dubbi che possono attanagliare una così lunga esistenza, l’aver condiviso dolore e gioia, sofferenza e turbamenti conservando la speranza e la capacità di cogliere e suggerire – nel buio degli errori e delle cadute che da sempre accompagnano il cammino dell’uomo- l’ottimismo della resurrezione.
La consolazione della parola, la via dell’esempio come fonte di insegnamento e ricerca della verità, la rettitudine delle persone semplici, la temperanza come prima virtù dell’uomo ricco di saggezza.

La testimonianza della sua vita e la luce che emanava dalle sue parole ci permettono di ricordare come San Paolo spiega il senso più autentico e il coronamento più degno di ogni esistenza: “ho combattuto la mia buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede”.