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lunedì, 1 Settembre, 2025
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Sco, una sigla da memorizzare: l’Eurasia tra scommessa e minaccia

Conoscere l'Organizzazione per la Cooperazione di Shangai, ci aiuta non solo a comprendere meglio il passaggio in corso verso un nuovo ordine multilaterale, ma a rinnovare la politica.

L’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (acronimo inglese: Sco) il cui XXV vertice annuale si conclude oggi a Tianjin, nel nord della Cina, va ormai annoverata tra i nuovi soggetti che contribuiscono alla governance globale di un mondo non più unipolare, ma ancora alla ricerca di un assetto multilaterale e cooperativo.

Dalla Shanghai Five alla grande organizzazione euroasiatica

Sì può dire che gran parte della crescita di importanza del ruolo della Sco, è stata resa possibile dagli errori delle strategie occidentali verso l’Asia in questo secolo.

Infatti, la Sco, nasce nel 2001 per iniziativa di Cina, Russia e stati dell’Asia centrale, come risposta a nuovi rischi di destabilizzazione nell’Eurasia (segnatamente quelli causati dalla situazione venutasi a creare in quello stesso anno in Afghanistan), per coordinare le politiche su sicurezza regionale, cooperazione economica e lotta al terrorismo.

Tale è stata negli anni la percezione di sfiducia verso l’azione di soggetti esterni al continente asiatico (sul piano finanziario, con i ciclici salassi delle borse orientali, sul piano della gestione dei conflitti, con l’emergere simultaneo di svariate sfumature di gruppi terroristici non endogeni) che nel corso degli anni ai Paesi fondatori (il nucleo storico già operante dalla fine degli anni novanta, detto Shanghai Five, Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, e l’Uzbekistan) si sono aggiunti altri quattro Paesi a pieno titolo: nel 2017 India e Pakistan, nel 2023 Iran, nel 2024 Bielorussia.

Questi 10 Paesi membri fanno della Sco la più vasta e popolosa organizzazione regionale al mondo. A questi si aggiungono altri 16 Paesi con lo status di osservatori (2) e di partner di dialogo (14). Fra questi ultimi figurano i vicini Egitto e Turchia, e alcune petromonarchie come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti.

Unalleanza senza clausole militari

Un dettaglio che depone per la natura non offensiva dell’alleanza della Sco è che essa non prevede clausole di difesa collettiva e si concentra invece sulla cooperazione politica, economica e di sicurezza, proponendosi come piattaforma di dialogo per la risoluzione dei vari conflitti fra i Paesi membri.

Le suddette coordinate aiutano a capire la rilevanza per la politica mondiale del vertice Sco di Tianjin, nel quale i capi dei tre giganti dell’Eurasia, Xi Jinping, Modi e Putin si sono incontrati per coordinarsi su come agire per ridurre la turbolenza regionale e globale, per rispondere alla politica americana dei dazi e per trovare una soluzione diplomatica per i numerosi conflitti in corso nel mondo.

Un aspetto da non sottovalutare è quello delle possibili sinergie fra Sco e Brics. Come i vertici Brics, anche questo summit Sco si è chiuso con una ambiziosa e nel contempo  prudente dichiarazione finale che contempla anche misure concrete riguardo a questioni come la gestione delle numerose domande di adesione (che giungono anche da Paesi mediterranei come l’Algeria), la crescita del commercio e degli investimenti, il rafforzamento della cooperazione nel continente asiatico in materia di difesa, di lotta alla fame alla povertà e alle disuguaglianze, e di sviluppo sostenibile.

Su questo crescente coordinamento fra i maggiori stati euroasiatici pesano certo le incertezze e i timori generati da Trump sui dazi ma anche un quarto di secolo di illusione da parte occidentale che per via militare si potesse arrestare o perlomeno controllare l’ascesa dell’Asia. Si pensi solo, a titolo di esempio, a che tipo di legame potrebbe esservi oggi fra l’Aghanistan e l’Occidente se solo le ingenti risorse dilapidate per l’invasione e la lunga e cruenta occupazione di quel Paese fossero state spese per la cooperazione e lo sviluppo, come sta facendo la Cina, per proprio interesse, verso il confinante Pakistan.

Le lezioni per lItalia e lOccidente

Ormai a cose fatte, si deve saper trarre qualche insegnamento dalla storia. Ad esempio il ruolo che riveste la Turchia, Paese Nato, nella Sco, quello di partner di dialogo, ci può essere di stimolo. Non nel senso che l’Italia debba imitare la Turchia, ma nel senso che il nostro Paese, proprio perché parte costituente insostituibile dell’Occidente, è quello che più ne interpreta la vocazione al dialogo e alla cooperazione con i soggetti emergenti del resto del mondo.

Capirlo è un preciso dovere della classe politica, specie di quella che si fregia dell’eredità politica di statisti democristiani che questo ruolo dell’Italia nel mondo, e segnatamente verso l’Oriente europeo e asiatico, e l’Indopacifico, lo avevano compreso e praticato, precorrendo i tempi e dimostrando esemplarmente che atlantismo e apertura al nuovo mondo multilaterale – evitando di passare nuovamente dalla tragedia di un conflitto mondiale – sono possibili e urgenti più di ogni altra cosa.