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mercoledì, Febbraio 12, 2025
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Scuola, la riforma Valditara tra illazioni e pregiudizi.

Detrattori, qualunquisti e complottisti si sono scatenati prima di “vedere le carte”: un atteggiamento di cattivo gusto. La scuola deve educare alla conoscenza, in modo possibilmente consapevole e gratificante, serio e umano.

Tra tutte le chiavi di lettura del testo di revisione dei programmi scolastici anticipato a grandi linee dal Ministro Valditara in una intervista al Giornale non ce n’è una che sia in grado di definire una traccia organica del disegno riformatore, la sua ampiezza, la sua portata, le materie oggetto di trattazione, in un certo senso le ambizioni sottese, la cornice e i contenuti organici, l’ordine e il grado di istruzione interessati. 

Per ora lo stesso Ministro ha riferito di “nuove indicazioni nazionali per il primo ciclo” che prenderanno corpo non prima di marzo anche se è probabile che l’ipotesi iniziale possa poi estendersi alla scuola secondaria.

Nessuna di queste chiavi – rubricate nell’armamentario degli opinionisti e dei preconcetti oppositori – apre il cassetto della scrivania del titolare del dicastero di Viale Trastevere dove è custodita la bozza in progress del testo che la Commissione incaricata della materia sta gradatamente assemblando. Non è neppure chiara la veste giuridica che assumerà il provvedimento: si parla di un decreto ministeriale, di un disegno di legge, di una normativa che sarà posta al vaglio del Parlamento per poi assumere lo status di DPR, alla stregua dei cd. “decreti delegati” del 31/5/1974 che hanno appunto compiuto mezzo secolo. Perché è fondamentale l’assetto, potremmo dire l’impianto che il testo finale prevederà ma anche a quale livello di gerarchia normativa si posizionerà: c’è una bella differenza tra una circolare da interpretare e un decreto o una legge da applicare. 

Negli anni trascorsi dentro il sistema scolastico, come docente, dirigente scolastico e ispettore ho assistito alla costituzione di una pletora di Commissioni (e di alcune ho fatto parte), partecipando alla redazione di atti di indirizzo amministrativo e didattico, sono stato consultato come organo tecnico da diversi Ministri pro-tempore, lo stesso Sergio Mattarella firmò il mio decreto di nomina come vincitore del concorso ispettivo: istituire Commissioni di studio sui programmi scolastici è sempre stata una prassi legittima e democratica. 

Si aggiunga – per chi critica in modo pregiudizievole l’iniziativa di Valditara – che un Ministro deve fare il Ministro ed è giusto che lo faccia nella pienezza delle sue attribuzioni. Mi interesso da molto tempo di pedagogia comparativa che studia gli assetti organizzativi dei sistemi scolastici e posso con fondate deduzioni argomentare su riforme in itinere, impianti programmatici, ordinamenti che sistematicamente sono adeguati a sopravvenute esigenze di revisione: di norma i sistemi a forte tradizione centralizzata muovono verso il decentramento e la gestione locale, quelli decentrati nella direzione opposta, verso un “common core” (un curricolo basilare comune) che stemperi disuguaglianze e consolidi un programma unitario che giustifichi la dizione stessa di “sistema scolastico nazionale”. Non c’è nulla di sospetto, non c’è lesa maestà o attacco alla democrazia se ciò avviene anche in Italia. 

La canea dei detrattori, dei qualunquisti e dei complottisti si è scatenata prima di “vedere le carte”, un atteggiamento che deborda persino nel cattivo gusto: c’è stato anche chi ha chiesto chi fosse “il medico di Valditara”. Si tratta in genere di demagogiche illazioni prive di fondamento: avendo trascorso una vita nella scuola posso dire – se mai – di aver assistito al lungo disancoraggio dalla cultura tramandata, sostituita da qualche tempo da neologismi, anglicismi, acronimi che hanno svilito quelle tradizioni pedagogiche su cui si fondava l’impianto della nostra scuola, ad ogni livello. 

Il clima percepito negli istituti scolastici non assomiglia più a quel cenacolo fatto di relazioni umane, di formazione solida, di rispetto verso l’autorevolezza dei docenti, la stessa libertà di insegnamento è messa a dura prova da prescrizioni cogenti che neppure il Ministero si è mai preso la briga di dare. Il Ministro si è accorto – se posso permettermi – di due derive in atto che vanno riprese, analizzate, corrette. Già nel Convegno della Fondazione Einaudi del 18 luglio 2023 egli preconizzava la cultura dell’et et anziché dell’aut aut: “La rete non può né deve spazzare via la carta e la penna perché lettura su carta e scrittura a mano sono insostituibili. L’apprendimento attraverso i libri non è rimuovibile dal sistema dell’istruzione”. 

Ricordo ancora che in Svezia e Finlandia – dove il tablet aveva sostituito il corsivo e i libri nella letto-scrittura – c’è stato un precipitoso ritorno verso libri, penne e quaderni. L’OCSE è molto severa nel valutare l’uso smodato delle tecnologie nei percorsi formativi, si stima che uno studente della scuola secondaria padroneggi il significato di non più di 200 parole: divenuto adulto farà parte di quel 70 % che non comprende un testo di media difficoltà, ciò che posiziona l’Italia al quart’ultimo posto tra i Paesi industrializzati quanto a competenze cognitive. Svolgere un tema usando CHATGPT non è una prodezza ma un inganno verso sé stessi, un bluff: per questo finalmente un Ministro parla di letture, libri, poesie, esercizio della memoria, studio. 

Penso che non tema tanto l’avanzamento dell’intelligenza artificiale, quanto l’arretramento di quella naturale.

La seconda deriva riguarda la necessità di un riequilibrio tra indirizzi programmatici nazionali (la libertà di insegnamento è libertà di metodo, non di fine) e scelte assunte in sede di autonomia scolastica.

Soprattutto in un contesto in cui si parla di “qualità” a sproposito e in modo autoreferenziale senza prevedere alcuna modalità di un suo controllo tecnico ed “esperto”. Ho toccato con mano aberrazioni didattiche ed educative perpetrate in nome dell’autonomia e del decentramento decisionale di gran lunga peggiori delle anguste applicazioni delle più ottuse circolari ministeriali. Anche a scuola bisogna ritrovare una giusta via di mezzo e ridare spazio alla creatività, all’ingegno, alla riflessione. Ben vengano musica, letteratura, poesia, geografia, storia che le prassi più recenti hanno conculcato a cenerentole didattiche per far spazio a STEM, STEAM, CLOUD, neologismi e algoritmi: la scuola deve educare alla conoscenza, in modo possibilmente consapevole e gratificante, serio e umano. Non vedo attacchi alla democrazia né omicidi pedagogici se mai appelli al buon senso: lasciamo lavorare la Commissione e attendiamo il testo che va elaborando.