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mercoledì, Febbraio 12, 2025
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Se all’Onu qualcosa si muove, dall’Europa venga un’iniziativa di pace.

S’affaccia la consapevolezza che la cooperazione internazionale debba favorire la difesa di comuni interessi di sopravvivenza. Che fare in Europa? Contro il terrorismo islamista c’è solo l’arma della pace tra Mosca e Kiev.

Storica rinuncia, nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, al diritto di veto spettante a una grande potenza. Non è un caso che per primi siano gli USA a rompere la prassi dei veti incrociati. L’amara consapevolezza della crescita esponenziale in tutto il mondo dell’antiebraismo, con riflessi inquietanti sugli equilibri mondiali, ha costretto l’America a porre un limite alla solidarietà con Israele. Hanno prevalso ragioni umanitarie incontestabili, visti i rischi per la sopravvivenza stessa delle popolazioni “intrappolate” a Gaza. 

Si tratta di una decisione che apre la strada ad un confronto a tutto campo, dove a questo punto il senso di responsabilità impone che non via più una tolleranza indiscriminata verso i propri amici da parte delle grandi potenze. S’affaccia la consapevolezza che la cooperazione internazionale debba andare incontro alla difesa di comuni interessi di sopravvivenza. Certo che la moratoria condivisa dagli USA è a termine, giusto il tempo, cioè, per una soluzione politica stabile e duratura con il riconoscimento di due stati sovrani: la Palestina ed Israele. 

È a questo punto che si prospetta un’occasione storica ad un’Europa sempre più sola, per l’oggi e per in futuro, specie se a novembre dovesse vincere Trump. Non valgono le prove muscolari alla Macron, se non altro perché gli alleati europei non sono pronti a seguire la Francia in questa direzione. Serve un’azione più corale per mettere la pace all’ordine del giorno.

I nemici si annidano nella recrudescenza del terrorismo islamista, ma anche nella perdurante offensiva della Russia, adesso impegnata a confezionare accuse improbabili sul coinvolgimento dell’Ucraina nell’attentato al centro commerciale di Mosca. Non importa se ciò significa derubricare la pericolosità dell’Isis e sancire l’obnubilamento della dirigenza moscovita.

È giunto il momento che l’Europa si renda protagonista della richiesta di sospensione delle ostilità al fine di accertare, con il concorso attivo dell’Onu, quali siano state le dinamiche dell’azione terroristica e quali i mandanti della strage alla periferia della capitale russa. Putin, in ogni caso, non può gettare arbitrariamente le colpe sull’Ucraina. Si deve sapere la verità dei fatti come premessa di una tregua e possibilmente di una pace, mettendo fine a costi umani e sociali intollerabili per ambedue i contendenti.