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sabato, 27 Settembre, 2025
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Se la politica si riduce a propaganda mista ad anarchia

La vicenda di Flotilla mostra il rischio di ridurre la politica a tecnica di provocazione, sacrificando la cultura di governo e la credibilità delle istituzioni. È come se si fosse rotta la bussola.

La vicenda, incredibile nonché inquietante, della Flotilla, tra le molte altre cose, ci porta a fare una domanda di fondo. E cioè: ma la politica può essere avventurismo, anarchia, improvvisazione e sempre e solo propaganda?

La domanda si pone non solo per l’incredibile vicenda – lo ripeto – dell’imbarcazione Flotilla che ormai snobba e rifiuta addirittura le indicazioni e le richieste del Governo italiano, della Santa Sede e dello stesso Presidente della Repubblica Mattarella, ma per il concreto comportamento di molte forze politiche. Tanto della maggioranza, penso principalmente alla Lega di Salvini e, soprattutto, alle principali forze della coalizione di sinistra. E cioè, il Pd della Schlein, i populisti di Conte e gli estremisti di Fratoianni/Bonelli/Salis.

Cultura di governo o propaganda?

Del resto, come può la politica recuperare credibilità, prestigio e autorevolezza se il tutto viene sempre e solo piegato alle ragioni della propaganda, della demagogia e della casualità? Lo dico perché sin quando prevalgono questi disvalori la cosiddetta cultura di governo è destinata a uscire di scena.

Certo che, se la postura politica della Schlein – per fare un solo esempio concreto e come ormai ammettono gli stessi commentatori ed opinionisti di sinistra – è quella di confondere il partito, la coalizione e la stessa politica con una eterna e cronica assemblea studentesca dove sono proprio l’improvvisazione e la casualità a dettare la linea d’azione, è persin inutile pretendere una qualsivoglia cultura di governo.

Ed è proprio questa la cifra distintiva che separa i populisti e i massimalisti da chi concepisce e pratica la politica all’insegna dell’elaborazione, del radicamento e della costruzione di un progetto politico.

La vera emergenza della democrazia

Ora, il futuro della politica, o meglio la stessa prospettiva della democrazia italiana, la si gioca proprio su questo versante. Ovvero, se si antepone il progetto di governo alla sola demonizzazione e criminalizzazione irriducibile del nemico.

Proprio in questi giorni carichi di violenza politica, di insulti inusitati e di atti di vera e propria devastazione da parte di professionisti della violenza, è altresì necessario ed indispensabile recuperare le fondamenta di una cultura autenticamente democratica e costituzionale. A partire dalla capacità di sapere tradurre in atti di governo le domande che provengono dalla società.

Se, invece e al contrario, ci si limita a cavalcare la rabbia, la violenza e il disagio, il rischio che si corre è proprio quello che stiamo registrando in queste settimane. E cioè, divisione cronica della società, crescente violenza politica, esaltazione della radicalizzazione del conflitto e voglia di annientare e distruggere in modo irriducibile il nemico politico.

Recuperare il senso della responsabilità

Sono, questi, i disvalori che alimentano l’antipolitica e che archiviano definitivamente ed irreversibilmente quella cultura di governo che ha caratterizzato l’intera prima Repubblica – e non solo della Dc ma anche, seppur in modo più approssimativo, dell’opposizione del Pci – e che, purtroppo, si è progressivamente impoverita nel corso della cosiddetta seconda Repubblica per poi affondare del tutto dopo l’irruzione dei partiti populisti e l’affermazione della deriva estremista e massimalista.

Questa è, oggi, la vera emergenza del nostro sistema politico, sempreché vogliamo ancora salvaguardare la qualità della nostra democrazia e la credibilità delle nostre istituzioni democratiche. Oltre, come ovvio, all’efficacia dell’azione di governo.