15.3 C
Roma
martedì, 13 Maggio, 2025
Home GiornaleServe una Rerum Novarum II. La democrazia dimezzata e la lezione della...

Serve una Rerum Novarum II. La democrazia dimezzata e la lezione della sinodalità

In un’epoca di “quantofrenia” politica e partecipazione dimezzata, la sinodalità ecclesiale appare come modello. Occorre una nuova Rerum Novarum per affrontare i rischi di una democrazia svuotata.

È in corso ormai da tempo un serio dibattito sulla crisi della democrazia. Alcuni studiosi, facendo riferimento ai governi “… pilotati da grandi lobby e… dai mass media”, hanno sostenuto che siamo addirittura entrati in una fase di post-democrazia. Altri hanno osservato che il leader politico dei nostri giorni non ha più bisogno del partito: gli basta, gli è sufficiente e avanza il suo rapporto diretto con il pubblico, grazie ai media, personalizzando il partito e la politica stessa.

 

La democrazia in crisi: tra quantità e assenza di pensiero

Che la politica sia diventata uno spettacolo permanente, con tutti i rischi della psicopatologia al potere, non occorre nemmeno ricordarlo. Basta guardarsi intorno, a partire da Trump. Ma noi – diciamocela tutta – a queste novità e denunce, a questo degrado, non facciamo più caso. Più precisamente: preoccupazioni, allarmi e timori sulla crisi della democrazia non ci interessano più.

 

Presentismo e quantofrenia”

Viviamo solo nel presente. Nell’oggi, e neanche nel domani. Figurarsi nel futuro dei nostri figli! E la democrazia la continuiamo a seguire – al meglio – affidandoci solo alle quantità: risultati elettorali, percentuali di voto, sondaggi, intenzioni di voto, indici di gradimento del Premier, dei Ministri, del segretario, ecc. Una “quantofrenia” dilagante, tutta centrata su dati, percentuali e statistiche. Convinti che i numeri da soli bastino a chiarire e spiegare, fino in fondo, i problemi che la democrazia deve affrontare per continuare ad essere tale.

Problemi che partono dalla persona in relazione, dai diritti dell’uomo e di cittadinanza, per arrivare al ruolo del “demos” e non solo al dominio del “kratos”. Temi nascosti e deviati da grafici, tabelle e mere quantità, con numeri che ci parlano – anch’essi – sempre e solo del presente. Il futuro, insieme alla qualità dei problemi, ai valori impliciti nei dati, alla loro etica e al loro peso sull’uguaglianza e la libertà democratiche, non viene mai messo in evidenza. Perché i numeri, semplicemente, non possono pesare né spiegare queste dimensioni.

 

La democrazia remota e disincarnata

Mettiamola come vogliamo, ma la democrazia dei rapporti umani e delle assemblee, del ruolo centrale del Parlamento, appartiene ormai al passato. Il rapporto tra governanti e governati non è più diretto né fatto di incontri periodici tra cittadini. La democrazia partecipata e di vicinanza è diventata una tele-democrazia partecipata a distanza. Da remoto, come si dice. Attraverso post, immagini e centinaia di commenti – anche velenosi – in attesa del tele-voto da casa, dal bar, mentre beviamo una birra o passeggiamo per strada.

 

Il monito della Chiesa e la proposta della sinodalità

Devo allora, per correttezza, aggiungere che queste “rivoluzioni”, questo cambiamento d’epoca culturale e antropologico nel rapporto tra istituzioni e popolo, tra valori e persone, sono stati avvertiti in tempo dalla Chiesa cattolica. Con Papa Francesco e il suo invito a una “Chiesa in uscita”, si è cercato di porre rimedio al concreto rischio di isolamento dei fedeli e a chiusure autosufficienti, senza alcun confronto con la “società concreta” – come indicava Don Luigi Sturzo nel 1919, prima di fondare il Partito Popolare.

Si tratta di rischi che riguardano anche gli individualismi evangelici e solitari da monastero, confusi con la necessaria spiritualità. Ma anche di rischi di verticismo chiuso e isolato dalla società: dalle sue gerarchie, parrocchie e diocesi, fino al suo associazionismo laico – giovanile e non – oggi frammentato, disperso e autonomo. Una riflessione che può suggerire qualche utile soluzione allo scompenso e allo smarrimento della nostra democrazia, ormai nelle mani dei soli eletti, di pochi militanti e… dei social.

 

Camminare insieme, sul serio

Mi riferisco al paradigma sinodale. Alla sinodalità del “camminare insieme” e della partecipazione. A quel modello di collegialità, fatto di riunioni e incontri continui, per discutere assieme e approfondire le grandi questioni nel rapporto tra Chiesa e mondo.

Penso anche alla “Rete” emersa dopo la Settimana Sociale di Trieste, che oggi deve misurarsi con le sfide sociali e culturali in parte già alle nostre spalle. Un modo concreto per ritrovarsi e vedersi realmente, stringendosi la mano, e non solo virtualmente sui cellulari.

 

Politica, media e vuoto democratico

Per il resto, possiamo confermare che gli strumenti vecchi e nuovi della comunicazione sociale – i mass media tradizionali e i social – sono diventati la base della democrazia contemporanea. Con i social usati continuamente per postare comizi solitari online, tramite reels, Facebook, Instagram e quant’altro, da parte del Primo Ministro, dei Ministri e dei leader del momento.

Mass media e nuove piattaforme che oggi rappresentano la struttura portante – non un aiuto – della nostra democrazia, del voto elettorale, dei rapporti sociali e dell’intera politica. Tutto ciò non ha però frenato il progressivo disinteresse verso i partiti, la classe politica, e la politica in sé. Né verso le elezioni, sopportate con sufficienza e noia, sbuffando o restando a casa in pantofole.

 

Una democrazia dimezzata

La scelta della classe politica e gli appuntamenti elettorali si sono trasformati in una funzione ritenuta inutile, accettata con distacco. Alla base, un rigetto critico verso la democrazia rappresentativa mai visto prima. È questa la causa principale della variabilità del voto e dell’emergere della emidemocrazia: una democrazia dimezzata, una rappresentanza di minoranza. Quella che elegge i governanti con il solo 50% dei cittadini aventi diritto, e che spesso assegna il ruolo di Primo Ministro a chi ha ottenuto, in termini reali, solo il 15–20% del consenso. Ignorando cioè l’85–80% che non lo ha votato.

Ed è proprio questa maggioranza silenziosa a rappresentare il dato qualitativo, irrinunciabile, della democrazia politica.

 

Una nuova Rerum Novarum

Motivo per cui dobbiamo essere molto attenti di fronte alle richieste di Presidenzialismi e Premierati. Un Presidente o un Premier eletti da una ristretta minoranza (15–20%) di cittadini, indipendentemente dalle loro instabilità o ricchezze, dovrebbero farci riflettere seriamente.

Ecco, anche e non solo per questi radicali “cambiamenti d’epoca” – a partire dal disinteresse verso le fondamenta del nostro vivere insieme – mi sono augurato da Papa Prevost, subito dopo la sua elezione e dopo aver conosciuto la scelta del nome, una Rerum Novarum II.

Perché di “cose nuove”, nel mondo di oggi, ce ne sono a bizzeffe. E, come ricorda Padre Ravasi, queste interpellano la Chiesa e tutti noi, nel nostro modo di vivere, pensare e sperare insieme.