Cronache e indiscrezioni s’inseguono: sembra che Pd e Forza Italia prefigurino un accordo per il futuro governo della Pisana. Il rischio di un nuovo trasformismo.
Redazione
Se la politica ha un compito è quello di prefigurare, volta a volta, un futuro possibile. Oggi viene sollecitata dalle cose a rendere credibile uno sforzo di trasformazione, per superare le incongruenze della lunga stagione che ha preso forma con il crollo della Prima Repubblica. Abbattere i muri e ricostruire, per buona parte della pubblica opinione vuol dire immedesimarsi nel compito attribuito alla “buona politica”. A condizione, però, che non si sporchi questo lavoro necessario con la mescolanza di superficialità e convenienza, nel segno dell’antica bestia del trasformismo.
Dunque, si può condannare a priori il dialogo tra Pd e Forza Italia, ovvero la ricerca di un auspicabile terreno di collaborazione tra gli epigoni di Prodi e Berlusconi? Certamente no, anzi l’impresa – perché di questo si tratta – è largamente condivisibile, anche se andrebbe finalizzata a obiettivi Nobili e comprensibili, come l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Invece al più basso livello e nelle forme appena descritte, il tratto che emerge è quello appunto del trasformismo. Vista da vicino, l’impresa si traduce in accrocco, se non addirittura in imbroglio. Tutto sembra giocarsi, infatti, lungo l’asse di un improvvisato sodalizio di potere. Almeno così appare nella dimensione regionale e locale del Lazio.
Il segretario del Pd, Bruno Astorre, viene dunque indicato come l’artefice di un patto con il suo omologo di Forza Italia, il coordinatore regionale Claudio Fazzone, per sostenere la candidatura di Daniele Leodori Presidente della Regione Lazio. Verrebbe in proposito a formarsi una lista “azzurra” associata al centro sinistra, quale che sia, a dire il vero, un centro sinistra così articolato. In questo quadro, a detta di cronache molto ben circostanziate, risulterebbe coinvolto anche il Movimento 5 Stelle. Con quale disegno politico? Su quali basi programmatiche? Attraverso quale classe dirigente? Domande, queste, che un tempo sovrastavano i dibattiti congressuali, ne determinavano la tessitura strategica, vi applicavano desideri e ambizioni, ma con la premura di fare salvi i principi e i valori fondamentali.
Al contrario, s’inizia un percorso badando a proteggersi nel buio, fuori da ogni pur minimo richiamo alla trasparenza – e non era, essa, il leit motiv dei più scalmanati innovatori degli ultimi anni? – come pure dal “vincolo” di un ragionamento sull’avvenire ipotizzato. L’accordo rosso-azzurro conterrebbe un principio di continuità con la gestione di Zingaretti o avrebbe il significato di un certo distacco da essa? Che Regione hanno in mente, Astorre e Fazzone, e come pensano di governarla, per quali obiettivi? In fondo, al di là delle indiscrezioni sui patti in allestimento, resta la necessità di aprire un confronto serio e puntuale sulle scelte che l’appuntamento delle urne, al massimo nel 2023, senza dubbio richiede. Ed è strano che il Nazareno ignori il “vuoto” di politica che inghiotte il partito del Lazio, quasi a certificare una colpevole distrazione della segretaria nazionale. Letta, in conclusione, non può girare la testa dall’altra parte.