Sindaci a congresso, la spinta dei comuni per il Paese.

Da domani a giovedì, Arezzo ospiterà l’Assemblea dell’Anci organizzata in coincidenza con il XIX^ congresso nazionale.

Molte qualificate presenze istituzionali, da domani a giovedì, daranno all’Assemblea dell’Anci – quest’anno organizzata ad Arezzo e in coincidenza con il XIX^ congresso nazionale – un tono di particolare rilevanza. Sarà interessante ascoltare il Presidente della Repubblica, punto di riferimento stabile a fronte di meno stabili interlocutori ministeriali. Ancora una volta, come in tutti i cinque anni del suo mandato, Mattarella assisterà alla seduta di apertura, prendendo poi la parola per un suo indirizzo di saluto. Alla luce dei precedenti discorsi, nemmeno quello di domani avrà un approccio meramente protocollare.

S’avverte nell’aria di questa assise aretina un senso di ottimismo, come se la crisi più acuta fosse ormai alle spalle. Ad esempio, riprende forma il tema degli investimenti, tornati a crescere tra 2018 e 2019. Nuovi servizi e tecnologie avanzate faranno da sfondo a vari approfondimenti tematici. Mattarella si troverà di fronte un’Associazione che nutre obiettivi ambiziosi, tanti da non disdegnare persino il ricorso alla suggestione della felicità dei cittadini. Recita infatti così un passaggio dell’introduzione alla II sessione dei lavori: “Come possono le città sviluppare lo spazio urbano in funzione della felicità delle comunità e dell’autorealizzazione delle persone che le compongono?”. Ciò vuol dire, comunque, che dietro tale interrogativo preme il disagio e la desolazione delle periferie. Sappiamo quanto Papa Francesco ne faccia cenno nel suo magistero, anche a riguardo delle periferie esistenziali. Analogamente, i centri minori soffrono di carenze strutturali e lottano contro un declino apparentemente inesorabile. Sotto questo profilo, la “visione metropolitana” sembra patire il calo delle cataratte sul sentimento di coesione e solidarietà tra enti che coabitano in un contesto di profonde diversificazioni, tanto per dotazioni finanziarie che infrastrutturali.

In realtà, i comuni rappresentano il tessuto connettivo della Repubblica. La loro forza o la loro debolezza stanno ad indicare lo stato di salute in cui versa tutta intera la nazione. Malgrado un certo “monopolio podestarile” di questa pubblica rappresentanza, frutto della logica connessa alla elezione diretta dei sindaci, il mondo delle autonomie è un insieme composito che riflette sul piano politico e amministrativo il dinamismo della democrazia locale. L’autonomia risiede infatti nelle comunità, sicché, stando anche alla lettera del testo unico degli enti locali, i comuni ne sono unicamente la proiezione politica più diretta. Lo ricordava sempre Giorgio La Pira, l’impareggiabile sindaco di Firenze: le istituzioni, e quindi anche i comuni, sono il vestito delle rispettive comunità. In questo senso, a ben intendere, non hanno vita propria.

Certamente, all’ottimismo della volontà occorre aggiungere l’accortezza dell’analisi. L’ordinamento è gravato da norme pervasive, i controlli sono ridondanti, la trasparenza amministrativa si traduce sovente in paralisi burocratica. Almeno un terzo dei dipendenti è destinato a compiti di amministrazione passiva, ovvero fa girare le carte in ottemperanza di leggi e regolamenti. Il difetto del centralismo, come è noto, sta nel suo astratto rigore formale. L’Autorità nazionale anticorruzione accende i fari sui siti web dei comuni, per verificare che non ci siano distorsioni o inadempienze, ma non s’avvede che i tributi locali sono riscossi oggi, in maniera cospicua, da una società in mano a fondi esteri: quindi i dati dei contribuenti italiani possono prendere vie sconosciute, senza che le istituzioni ne abbiano contezza. Nel complesso, l’Italia vista dal basso e attraverso le lenti dei comuni mette in mostra la potenza inibitoria di un modello giuridico-amministrativo improntato, per così dire, al culto luminoso della procedura per la procedura.

Ora, se non si sblocca l’Italia dei comuni nemmeno si addiviene a contemplare un serio programma di rilancio dell’economia sul territorio, specie al Sud. Le cronache riportano il contenzioso con ArcelorMittal, accompagnato dalla concreta minaccia di 5.000 esuberi a Taranto e dintorni, ma non dà conto della protesta del Sindaco Leoluca Orlando per i 2000 licenziamenti che incombono a Palermo nei servizi di call center. Il Paese resta al palo, vittima delle manipolazioni retoriche, ovvero degli illusionismi facili e deleteri, per i quali l’abbondanza di letteratura sulle “Smart cities” copre la perdurante mortificazione del dibattito sui trasporti e la mobilità, ma prima ancora sull’urbanistica. La sfida pertanto investe appieno la responsabilità degli amministratori locali, al di là della percezione di normalità che pure viene dal quieta non movere dell’attuale contingenza in seno al mondo delle autonomie. Resta vero, oltre la quiete, che la spinta dei comuni è essenziale per far ripartire la locomotiva del Paese.