Stiamo veramente lavorando a un Paese per giovani? È l’interrogativo che trova spazio su “Il Mulino”.

Alcune osservazioni sulla garanzia statale per i mutui ipotecari prevista nel Recovery Plan, lo strumento che mirerebbe a far sì che lItalia torni a essere un Paese per giovani.

 

Sonia Bertolini e Valentina Moiso

Il presidente del Consiglio Mario Draghi presentando alla Camera il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha compreso tra gli «aiuti ai giovani» la possibilità di facilitare agli under 35 l’acquisto di una casa: lo Stato farà da garante per mutui ipotecari che finanzieranno il 100 per cento del valore dell’immobile. Quindi non solo anche i giovani senza un contratto stabile saranno più facilitati nell’accendere un mutuo, ma non servirà nemmeno più una quota di risparmi per acquistare una casa. Lo strumento non è nuovo, anche se la procedura è in parte modificata: si tratta del Fondo di garanzia per l’apertura dei mutui prima casa – uno dei fondi aperto grazie alla collaborazione tra Abi – Associazione bancaria italiana e governo nata in seguito alla crisi finanziaria del 2008, che ha attualmente all’attivo circa 9 miliardi di garanzie.

 

Questo suo rilancio è stato accompagnato dal mantra «L’Italia deve tornare a essere un Paese per i giovani» che rimbalza sulle testate nazionali nel commentare questa e altre misure, riguardanti ad esempio gli asili nido, ma non sono mancate le critiche al provvedimento, che possono essere riassunte nello slogan «prima il lavoro». Il dubbio espresso nel dibattito pubblico riguarda l’utilità di dedicare fondi a sostenere l’indebitamento quando ne servirebbero in altri ambiti, quali il sistema di istruzione, il passaggio scuola-lavoro, una riforma di stage e tirocini, il sostegno ai giovani nella ricerca.

 

In un recente articolo uscito su «Stato e Mercato» (Lavoro atipico, discontinuità di reddito, welfare e accesso al credito: il modello italiano in Europa, n. 2/2020) abbiamo avanzato osservazioni che si prestano, a nostro parere, a contribuire a questo dibattito. In seguito a quanto emerso dalle voci dei giovani stessi grazie a una ricerca comparativa europea (Except – Social Exclusion of Youth in Europe, European Commission Horizon 2020 – Program) , abbiamo voluto approfondire le condizione di accesso al credito in Italia e in alcuni Paesi europei particolarmente rappresentativi, muovendo da un presupposto importante: è poco informativo guardare solo al credito se non si tiene congiuntamente conto delle situazioni che fronteggiano i giovani in altre arene (o sfere) istituzionali, in primis il mercato del lavoro e il sistema di Welfare.

 

Partiamo dal lavoro. Le politiche del lavoro degli ultimi 30 anni in Europa sono state simili, nonostante alcune differenze di passo, e all’insegna della flexsecurity. Si tratta dell’abbandono del classico posto di lavoro a tempo indeterminato e dell’introduzione massiccia di contratti atipici, che non garantiscono un reddito continuo e sono riservati soprattutto ai giovani: per loro è dunque spesso impossibile sostenere il ritmo continuo dei flussi di spesa in uscita che si susseguono con una cadenza pressoché mensile e raramente prevedono meccanismi di sospensione temporanea o di posticipazione che non implichino pesanti penali. Gli effetti della flexsecurity sono però differenziati in Europa a seconda del sistema di Welfare: in alcuni Paesi europei l’indennità di disoccupazione e/o altre misure di sostegno al reddito garantiscono una continuità anche in periodi di assenza di lavoro. Questo aspetto ha un impatto notevole sui corsi di vita degli individui, da un punto di vista pratico e cognitivo: permette loro di programmare le spese anche nel lungo periodo, e di progettare il futuro nonostante la flessibilità del lavoro.

 

Che cosa aggiunge il mercato del credito a questo quadro? Le possibilità di accesso al credito sono collegate alla condizione occupazionale, ma in modo molto differente: in alcuni Paesi le banche danno un grande importanza al tipo di contratto nel valutare il rischio che i clienti non rimborsino il loro debito, per cui gli atipici, a parità di reddito, non ricevono gli stessi crediti a cui hanno accesso i contratti a tempo indeterminato. Nel nostro studio, questo è il caso di Italia, Germania, Bulgaria e Polonia. In altri Paesi, invece, non è la condizione contrattuale a fornire garanzie sulla solvibilità del cliente, ma la sua capacità effettiva di produrre reddito, dimostrata in passato, oppure quella potenziale, cioè la capacità di produrne in futuro dato il titolo di studio e/o i progetti lavorativi, come in Svezia, Inghilterra ed Estonia.

 

Un’altra questione importante riguarda la possibilità di ricevere un credito facilitato per importi di piccole entità indipendentemente dalla condizione lavorativa. Dal nostro studio è emerso che i Paesi la cui valutazione del rischio si basa sul contratto non vi è una diffusione dei crediti ad accesso facilitato: il mercato del credito è quindi complessivamente contenuto.

Collegando l’assenza di un sistema di Welfare a favore dei giovani con contratti atipici e discontinuità di reddito, e la presenza di un mercato del credito contenuto, in Italia, Polonia e Bulgaria emerge una doppia esclusione dei giovani, per cui si può parlare di «insicurezza lavorativa istituzionalizzata». In altre parole, i contratti atipici escludono dal sostegno al Welfare ed etichettano automaticamente gli individui come più o meno affidabili nei pagamenti e più o meno sicuri come debitori, indipendentemente dal loro vissuto. I giovani si trovano così senza un sostegno al reddito e senza possibilità di accedere a crediti, che siano per comprare casa o per avere fondi di piccola entità.

 

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