Caro Castagnetti,
non potrò partecipare alla riunione che tu giustamente hai convocato per l’8 marzo, con gli amici che in un tempo ormai lontano hanno dato vita all’Associazione, per valutare l’esito politico delle “primarie” del 26 febbraio. All’Associazione abbiamo affidato la storia del Popolarismo, della “terza parte” promossa da Sturzo per “passare il guado” che separava i cattolici, già presenti sulla sponda sociale, dall’azione politica.
La precedente convocazione ha registrato la partecipazione a questi incontri di una nuova generazione del cattolicesimo democratico. Mi auguro che l’elezione di Elly Schlein, nel momento in cui segna una certa continuità con il movimentismo che anima le nuove generazioni, segni anche la necessaria discontinuità verso l’immagine del partito, ed aiuti a interpretare la “metamorfosi” del sistema che sta mettendo alla prova anche il Pd…Per questo motivo ritengo per me doveroso, nei limiti del possibile, partecipare ad una riflessione da cui dovrebbe muovere – me lo auguro – anche il rinnovamento della nostra Associazione, ancora necessaria, anche se in una diversa prospettiva. Continuo infatti a pensare che una seria riflessione sull’identità di un partito, come di una sua componente (movimento od associazione), la fa diventare “pensiero ed azione di un contesto storico”, punto di forza “di una strategia politica” e delle forze sociali e politiche cui, in determinate circostanze, sono affidati il presente e l’avvenire del paese.
Ho pensato in questi giorni che Aldo Moro, quando aveva responsabilità di orientare la strategia della democrazia cristiana, collocava le previsioni che riguardavano le scelte di quel partito nel contesto di una previsione relativa ad un più ampio orizzonte politico; rifletteva sui “tempi nuovi che si annunciano”, sui segni del tempo che ci era dato vivere, sui problemi italiani, riferendosi sempre a quelli europei e del mondo. Non per eluderli, ma per non restare prigionieri dell’improvvisazione, del qualunquismo spesso dominante nei momenti di crisi. E che Zaccagnini, quando suo figlio viveva la speranza del movimento del ’68, lo invitava a “restare rivoluzionario nel cuore, ma riformista nella testa”. Oggi, una discussione sulla situazione politica e sulle scelte che incombono, sarebbe inevitabilmente miope senza la consapevolezza che stiamo vivendo una metamorfosi che richiede una riflessione culturale.
Penso anche che non sia utile mettere al centro della discussione l’esito delle primarie per la scelta del segretario del Pd, se non sappiamo farlo nel contesto di una lettura di ciò che comportano anche per l’Italia, ormai inserita nell’Unione europea, la mondializzazione dei mercati e il delinearsi di radicali cambiamenti sociali ed economici. Sono cambiamenti prima di cultura che politici, e prima ancora dei comportamenti delle giovani generazioni: una sfida aun ordine sociale che appariva consolidato e alla democrazia rappresentativa. Dalla “continuità della storia” riemerge, con Giorgia Meloni, anche l’immagine del passato? A mio parere è rischioso affidare la presenza politica dei partiti democratici alla categoria del nemico, alla radicalizzazione del confronto (che diventerebbe “scontro”), come avviene con il bipolarismo. Ripeteremmo l’errore che ha fatto Letta nella campagna elettorale di settembre, quando si è definito “rosso” ed ha affidato alla Meloni la parte del “nero”. Se questa era la domanda, la risposta ere prevedibile, come all’inizio del Novecento. Questa sfida radicale a scegliere, se replicata dalla Schlein in un stagione caratterizzata dal conflitto tra imperi continentali (cfr. Ucraina), significa mettere in discussione le varianti di liberaldemocrazia (e di riformismo) e confrontarle con le autocrazie illiberali dell’Est e del Sud del mondo sui valori di libertà e di solidarietà dei due sistemi, ma anche sulla sicurezza e sulla efficacia degli interventi imprevisti. E per i Popolari questa riflessione inizia con il riferimento all’intransigenza di Sturzo e all’imprevisto: aveva deciso di competere con liberali e socialisti, ed ha dovuto scontrarsi con i bolscevichi e i fascisti.
Temo che il dibattito cui debbono prepararsi gli amici che hanno partecipato al Congresso del Pd, registreràl’emergere di una discussione sull’identità cattolico democratica, minacciata dalla “radicalizzazione” dell’opposizione che la Schlein ha promesso alla Meloni e alla maggioranza sovranista, da cui prenderanno le mosse l’autocrazia illiberale della Destra, ma anche una possibile reazione di impronta clericale. Dalla polemica riprenderà forza l’accusa che nel recente passato ha più volte colpito il cattolicesimo democratico: “siete catto-comunisti”. Relativamente facile è immaginare come si svilupperà a sinistra il dibattito tra chi ritiene necessario contrastare le diseguaglianze prodotte dalla globalizzazione e dalla rivoluzione tecnologica con una strategia delle riforme che sappia coinvolgere il movimento dei lavoratori – anche se il fordismo è tramontato – e chi si riferisce al “pensiero unico” dell’economia capitalistica, nelle sue diverse realizzazioni che l’hanno trasformato, rendendolo più forte con le multinazionali. Resterà incerto il riformismo promesso dal laburismo europeo, di radici cristiane, come alternativa al dominio del liberismo, ma con la stessa globalizzazione si delineerà il ruolo che recupererà la politica. Ma quale politica? Sono tensioni che aveva previsto Dahrendorf sin dalla fine del Novecento, e che nel corso della Seconda repubblica sono state messe in ombra, dimenticate per il diffondersi dei conservatori anche nell’occidente americano ed europeo, ma che anche la sinistra storica, e la stessa sinistra riformista, non hanno saputo considerare nelle loro decisioni.
Cosa proporranno i riformisti per recuperare il voto della protesta operaia? I sindacati dovranno affrontare questioni di salario e di organizzazione industriale, mentre alla politica tocca guardare più lontano, a questioni di sistema e di compatibilità tra politica ambientale e politica industriale, tra il tema qualità del lavoro e la politica del reddito (che non è RdC), sulla crisi dello “stato fiscale” e quella del welfare, lo stato sociale. E in particolare sui problemi che si pongono a chi vuole affrontare squilibri strutturali che incidono sulla vita di una “società dei due terzi”, erede della Prima repubblica, e la Seconda repubblica, che per molti aspetti si è dimostrata più interessata a difendere le conquiste del passato che ad estenderela sicurezza sociale a chi ne è rimasto escluso.
Resterà in ombra la questione, a mio parere decisiva,per l’opposizione al governo di destra su temi che riguardano il futuro della democrazia, questione che è rimasta in ombra anche tra i candidati alle primarie: quella del presidenzialismo e dell’autonomia differenziata per le Regioni. Ricordare l’antifascismo potrebbe diventare un diversivo. Leggendo i messaggi che si scambiano i social, potrebbe diventare la principale preoccupazione per il Pd, ma anche per i Popolari, il fatto che si inasprisca il rapporto tra gli esponenti dei diversi movimenti, che si ispirano al una visione cristiane della vita e della politica, e la cultura dell’immagine dominante nel comportamento di gruppi non marginali di movimenti proletari o borghesi che convergono elettoralmente sulla sinistra radicale.
Essere laici, senza cedere al laicismo, “essere sinceramente democratici, non conservatori”, come dichiarava Sturzo, resta per me il dovere legato allaradice etica di quanti hanno vissuto l’esperienza popolare e hanno fatto le nostre difficili scelte politiche. Continuo a ricordare le parole del Card. Martini: “Siamo minoranza, non diventiamo una setta”: Pensiero che dovrebbe riguardare ogni parte che sogna (per sé) il mito di Procuste, il brigante che costringeva i viandanti a stendersi sul suo letto e decapitava o impiccava chi non aveva la sua statura: un solo pensiero imposto con la forza, la fine della diversità, la radice della tirannia.
Ancora un pensiero. Ai parlamentari che gli chiedevano, dopo avere ascoltato il suo ultimo discorso, quale previsione fosse in grado di fare su un futuro appena abbozzato, Aldo Moro rispose: “Se ci saremo, conteremo anche noi”. Nella fase attuale,questo pensiero riguarda anche noi e soprattutto i più giovani. Il futuro della democrazia e del partito in cui decideremo di operare, se ci saremo dipenderà anche da noi
Un forte abbraccio a chi condivide la speranza popolare, e un cordiale saluto a tutti gli amici presenti.
Chieri, 5 marzo 2023
N.B. Il testo ha subito piccoli ritocchi, puramente formali, rispetto allo stampato diffuso l’8 marzo.