La terza grande guerra in corso, quella civile in Sudan, continua ad essere trascurata dai grandi media occidentali e conseguentemente dalle loro opinioni pubbliche, rimanendo sostanzialmente dimenticata. Oscurata dalle due principali, ma pure dalla persistente e ingiusta (oltre che incomprensibile, considerando l’impatto anche solo demografico del continente africano) sottovalutazione di quanto accade in Africa.
Il massacro di Al Fashir e l’allarme dell’ONU
Qualcosa però, forse, comincia a muoversi. Il recente eccidio di Al Fashir, capoluogo del Darfur settentrionale, regione nel sudovest del Sudan tristemente nota ai più anziani fra noi nel ricordo della terribile carestia da cui venne aggredita negli anni Ottanta del secolo scorso, ha acceso le luci sul conflitto.
L’autorevole quotidiano britannico The Guardian ne ha parlato come di una vicenda che già ora si può definire come una delle “pagine più buie” del XXI secolo. Il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres ha chiesto ai contendenti un cessate-il-fuoco immediato, naturalmente disatteso, ma per lo meno ha posto in primo piano mondiale anche quel conflitto.
La città assediata e la tragedia dei bambini
Lo scorso 20 settembre un massiccio attacco condotto con droni – ormai ovunque la nuova e più micidiale arma dei tempi attuali, in quanto la più economica – dai paramilitari delle Forze di Supporto Rapido (RSF) del generale Dagalo, detto Hemetti, che combattono da quasi tre anni contro le Forze Armate nazionali del generale al-Burhan, ha colpito i fedeli in preghiera presso la moschea Al Safiya, uccidendo oltre 70 persone, fra cui diversi bambini.
Al Fashir è sotto assedio da mesi, ultima città del Darfur ancora formalmente sotto controllo statale, ed è quindi diventata un obiettivo imprescindibile per Hemetti. La popolazione, come quella palestinese a Gaza, è intrappolata dentro la città. Più di 250 mila persone, oltre la metà delle quali sono bambini, che non possono essere neppure aiutate dalle organizzazioni umanitarie internazionali, impossibilitate a raggiungere la zona. Altre migliaia, non si sa quante, bloccate nei campi per gli sfollati approntati in un qualche modo nei dintorni della città, che è stata circondata dalle RSF con un muro costruito tutto intorno ad essa, avente solo due varchi per la possibile, ma sottoposta a molti limiti, evacuazione dei civili.
L’UNICEF riferisce di drammatiche conseguenze per i bambini: privati spesso dei loro genitori, a volte rapiti e, i più grandi, forzatamente reclutati nei gruppi paramilitari; in altri casi, ancora peggiori, uccisi o mutilati. Una tragedia che amplifica quella più generale di una guerra tra fazioni e tra due ignobili generali che ha causato – secondo stime “per difetto” – oltre 150 mila vittime, 12 milioni di profughi, 25 milioni di esseri umani ridotti alla fame. Dal che si comprende la nera valutazione di questa guerra proposta dal Guardian.
Il conflitto dimenticato e i mercanti d’armi
La nota giornalista Anne Applebaum ne ha scritto in un articolo apparso sullo statunitense The Atlantic come del “più nichilista conflitto sulla Terra”: una guerra civile dominata da “anarchia e avidità”. Senza che nessuno cerchi davvero la via per una trattativa, per far cessare la carneficina.
Anzi, come sempre in questi casi, i mercanti di armi, ovvero i mercanti di morte, hanno avuto occasione di arricchimento facendo pervenire alle parti in conflitto dotazioni sempre più micidiali, sempre più sofisticate. E pure alcuni Stati sovrani hanno finanziato questa insulsa guerra. Nonostante le smentite, pare accertato il sostegno degli Emirati Arabi a Hemetti e per contro di Egitto e Arabia a al-Burhan.
Non si intravedono al momento spiragli per una conclusione del conflitto fratricida. Soverchiato dagli altri due e dunque privo di quello spazio mediatico che, forse, potrebbe imporre un impegno della comunità internazionale per trovare le condizioni per una vera tregua.
Almeno una tregua. Ma per ora non si può sperare neppure in quella.