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sabato, 1 Novembre, 2025
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Sudan, un orrore che non si vuole guardare

La conquista di al-Fashir da parte delle milizie RSF guidate dal generale Hemetti segna una nuova, tragica fase della guerra civile sudanese. È la più grave crisi umanitaria del secolo, ma il mondo continua a distogliere lo sguardo.

La conquista, dopo diciotto mesi di assedio, della città di al-Fashir – capoluogo del Darfur settentrionale – da parte delle Rapid Support Forces (RSF) del generale ribelle Mohammed Dagalo, detto Hemetti, può imprimere una svolta decisiva al sanguinoso conflitto sudanese.

La determinazione e la ferocia con le quali le milizie hanno condotto la loro offensiva si erano già palesate con nettezza lo scorso aprile, quando occuparono il gigantesco campo rifugiati Zamzam (mezzo milione di esseri umani) nel sud della città, ove uccisero oltre duemila persone. Terrorizzate, molte altre fuggirono dal campo e ripiegarono entro le mura della città, andando così a intrappolarsi, perché da al-Fashir non si poteva uscire.

Verso una nuova divisione del Paese

Dopo l’insediamento di un governo parallelo a Nyala, nel sud del Paese, e ora – dopo la capitolazione dell’ultima città del Darfur ancora controllata dal governo centrale – si può dire che la regione occidentale, da nord a sud, è controllata da Hemetti, mentre quella orientale resta sotto il governo insediato a Port Sudan.

Potrebbe essere il preludio di una nuova divisione del Paese, dopo quella avvenuta con la nascita, nel 2011, del Sud Sudan. A questo punto forse auspicabile, a fronte di due anni e mezzo di guerra civile devastante per le popolazioni coinvolte. Ma non così facile da immaginare, anche solo in considerazione del recente fallimento del tentativo di mediazione per un cessate-il-fuoco condotto a Washington da Stati Uniti, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto.

 

Lavanzata di Hemetti

Vi è anzi la possibilità che Hemetti, sull’abbrivio del successo ottenuto nel Darfur, possa puntare alla conquista dell’intero Sudan.

L’agenzia Reuters ha riportato le parole non equivoche del vice comandante delle RSF, Abdelrahim Dagalo:

“La nostra liberazione di al-Fashir è la liberazione del Sudan, la strada per Port Sudan. Stiamo arrivando e arriveremo pesantemente.”

La situazione quindi resta aperta e ogni evoluzione è possibile. Molto dipenderà anche da quanto ulteriore supporto riceveranno i contendenti dai loro sostenitori esterni: in primo luogo l’Egitto per la Sudanese Armed Force (SAF) del generale al-Burhan e gli Emirati Arabi Uniti per la RSF.

La tragedia umanitaria

Fin qui le notizie militari e politiche. Ma le più gravi, tragiche e raccapriccianti riguardano i massacri che continuano a registrarsi sul terreno.

Quella del Sudan è, secondo le Nazioni Unite, la più grande crisi umanitaria del secolo. Ma da noi, a esclusione della stampa specializzata, si continua a non parlarne.

Dentro al-Fashir, la popolazione – originariamente di un milione di abitanti – è rimasta intrappolata per un anno e mezzo, e la conclusione dell’assedio si è tramutata in un autentico bagno di sangue.

Secondo lo Humanitarian Research Lab dell’Università di Yale, oltre duemila civili disarmati sono stati uccisi, con un livello di violenza paragonabile alle prime 24 ore del genocidio in Ruanda del 1994.

Secondo osservatori internazionali contattati dall’Associated Press, la conquista di al-Fashir ricalca nei metodi quella di Geneina, capitale del Darfur occidentale, dove nel 2023 vennero uccisi 15.000 civili.

Lorrore negli ospedali

Riprese video mostrano – ancora secondo il Guardian – “dozzine di uomini disarmati colpiti e giacenti a terra esanimi, circondati da combattenti delle RSF”.

Altri video, seppur non verificati da fonti indipendenti, mostrano decine di corpi sparsi accanto a veicoli incendiati.

Le RSF hanno altresì ammazzato medici, infermieri, pazienti e familiari presenti nell’ospedale della città.

Secondo il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Ghebreyesus, “più di 460 persone sono state uccise nel reparto maternità del medesimo ospedale”.

In un post su Facebook, il Sudan Doctors Network, un gruppo di medici che monitora per quanto possibile gli eventi della guerra civile, ha denunciato: “Le RSF hanno ucciso a sangue freddo chiunque incontrassero dentro l’ospedale”.

Pulizia etnica e barbarie

Omicidi, violenze e stupri sono stati prevalentemente rivolti contro persone di etnia non araba, il che conferma la matrice delle RSF: discendono dalle milizie arabe Janjaweed, che durante il regime del dittatore Omar al-Bashir, agli inizi del secolo, si macchiarono di crimini esprimenti una volontà di “pulizia etnica” nei confronti delle popolazioni non arabe residenti nel Darfur.

Un orrore che pare senza fine.