È davvero triste constatare come quella che viene definita “comunità internazionale” rimanga sostanzialmente insensibile di fronte a quanto sta accadendo, ormai da due anni, in Sudan.
Non solo l’occidente, tutto concentrato sui due conflitti principali che maggiormente lo coinvolgono e interessano, pure essi lontani da una sospensione anche solo minima, figurarsi da una conclusione. Anzi, con la chiusura della struttura USAid voluta dall’incommentabile Amministrazione Trump è venuta meno la principale fonte di aiuti alla disperata popolazione locale, i cui bambini sono ora privati dei già insufficienti programmi di assistenza alimentare e vaccinale.
Pure l’oriente in senso lato appare distante, e ciò solleva qualche interrogativo, dati gli investimenti – come sempre, interessati – che la Cina sta facendo da anni nel continente africano.
Così, gli unici stati coinvolti nella guerra civile sudanese sono gli Emirati Arabi, l’Egitto, l’Arabia, ma non certo per favorire una tregua. E infatti non hanno firmato la dichiarazione unificata che era stata predisposta dagli organizzatori (Regno Unito, Unione Europea e Unione Africana) della Conferenza di Londra, tenuta lo scorso 15 aprile, che avrebbe voluto aprire uno spiraglio di pacificazione e che invece è sostanzialmente fallita.
Gli Emirati, nonostante le smentite, stanno sostenendo (dietro pagamento in oro, di cui è ricca la regione del Darfur) le RSF, ovvero le Rapid Support Forces del generale Dagalo detto Hemetti, con droni e armamenti vari. Corrono voci inoltre circa un più consistente aiuto militare fornito da Egitto e Arabia all’altro protagonista negativo di questa faida, il generale al-Burhan, comandante l’esercito nazionale ufficiale (Sudanese Armed Forces – SAF).
Come già raccontato anche su questo giornale, la guerra è iniziata due anni fa quando Hemetti non ha acconsentito a inquadrare i suoi paramilitari presso la struttura dell’esercito nazionale. I due generali avevano collaborato alla caduta, nel 2019, del dittatore al-Bashir e poi, nel 2021 con un colpo di stato avevano troncato la difficile transizione verso un governo civile legittimato da libere elezioni, mai tenute. Nessuno dei due pare in grado di sconfiggere l’altro. Per riuscirci, stanno dando luogo a una carneficina fra le più sanguinose, subìta da una popolazione inerme e sopravvivente in condizioni sempre più miserevoli. Fra le varie atrocità, merita segnalare l’accusa (di provenienza USA) alle RSF di genocidio nei confronti della popolazione non araba del Darfur.
Negli ultimi due mesi le vittorie della SAF sui campi di battaglia a Omdurman e Wed Madam nella regione di Khartoum e soprattutto la riconquista della capitale parevano aver dato una svolta al conflitto. Anche in risposta all’annunciata alleanza fra RSF e un altro movimento di guerriglia denominato Splm-N comandato da un certo Abdelaziz al-Hila operante in una regione periferica intorno ai monti Nuba sinora rimasta estranea al conflitto.
Ma le ultime notizie arrivate raccontano di uno scontro assai pesante nella regione occidentale del martoriato paese vinto dalle RSF. La situazione rimane dunque in stallo, sui campi di battaglia.
Tragica, assolutamente tragica invece nelle città e ormai anche nelle campagne: la carestia – che secondo l’ONU colpisce quasi un milione di persone (che si aggiungono a milioni di sfollati e qualche decina di migliaia di morti, una contabilità peraltro difficile da tenere nelle condizioni date) – rischia ora di peggiorare ulteriormente con l’arrivo della siccità estiva, quando la gente comincia ad esaurire le scorte alimentari accumulate con gli ultimi raccolti. Ma al mondo – non solo occidentale – tutto ciò pare proprio non interessare più di tanto.
Mentre la guerra potrebbe estendersi ulteriormente a tutto il territorio sudanese, anche verso est, per il momento risparmiato in quanto controllato più saldamente dalle forze governative, e comincia a far sentire i propri effetti in Sud Sudan, la regione resasi indipendente e fattasi nazione nel 2011. Pochi anni fa, e quindi molto a rischio d’essere risucchiata nel vortice che attanaglia il suo settentrione.
Come ammonì Papa Francesco, che di quella povera terra africana non si era mai dimenticato, all’Angelus di domenica 26 gennaio scorso: “Il conflitto in corso in Sudan, iniziato nell’aprile 2023, sta causando la più grave crisi umanitaria nel mondo, con conseguenze drammatiche anche nel Sud Sudan. Sono vicino alle popolazioni di entrambi i Paesi e le invito alla fraternità, alla solidarietà, ad evitare ogni sorta di violenza e a non lasciarsi strumentalizzare. Rinnovo l’appello alle parti in guerra in Sudan affinché cessino le ostilità e accettino di sedere a un tavolo di negoziati”.
Un tavolo che, per il momento, nessuno vuole predisporre.