Tajani non può limitarsi ai distinguo dalla destra sovranista

La Meloni sfida Savini sulle alleanze con l’ultra destra europea. La riforma del premierato è pane per i vari Orbán. Ora, che fa Tajani? È tempo di coerenza.

Non basta che Antonio Tajani si schieri, almeno nelle intenzioni ricavabili dai sussulti “liberali”, tra chi nel Partito Popolare Europeo è contrario all’alleanza con l’estrema destra. Quel che più conta è l’impegno a cogliere l’occasione storica per la quale Forza Italia potrebbe concorrere in maniera seria e concreta a far virare nella direzione giusta la politica italiana prima dell’europee. Quindi, prima che sia troppo tardi.

L’occasione è quella offerta dall’ultimo cedimento opportunistico della Meloni, la quale si accinge a competere con Savini sul terreno della commistione con la destra estrema, avendo come obiettivo l’alternativa in Europa al sodalizio tra popolari, socialisti e liberali. Si tratta di una dimostrazione di vera e propria megalomania perché, nella prospettiva di una minore copertura americana sullo scacchiere militare euroatlantico, un’Europa obbligata ad essere più solidale e più autonoma non può prescindere dalla Union sacrée delle grandi famiglie democratiche, quelle che in passato ci hanno salvato dai pericoli della guerra fredda e nel presente ci salvano, con la loro fermezza politica, dall’offensiva neo-imperiale della Russia putiniana.

La Meloni appare confusa al punto che in Europa è diventata un’osservata speciale anche per l’allarme provocato dal suo premierato, unico sistema di governo che in Europa prefiguri l’accentramento del potere nella mani di una persona sola. Inevitabilmente, una siffatta riforma istituzionale è pane per tutti i sovranisti, a cominciare dal suo sodale Orbán, incarnazione di una una democrazia impregnata di autoritarismo.

Tajani deve essere chiaro anche su questo punto, perché non sfugge a nessuno che proprio il ripudio del “premierato assoluto” – così lo definiva Leopoldo Elia all’epoca della pur meno grave riforma che, fortunatamente senza riuscirci, Berlusconi provò a imporre – è la pietra miliare di una politica intransigente verso le suggestioni del sovranismo antidemocratico.

Altro è l’elezione diretta del Capo dello Stato sul modello francese, con la previsione di un effettivo contropotere del Parlamento, da cui discende persino la possibilità di eleggere un Presidente del Consiglio con una maggioranza politicamente diversa rispetto a quella espressa nelle elezioni presidenziali. Parliamo di un modello rispettabile al quale, per altro, sembrava rivolgersi l’attenzione della Meloni all’atto del suo insediamento, sicché ora, alla luce dei fatti compiuti, tutto lascia arguire che si trattasse una plateale menzogna.

Siamo a un passaggio che obbliga a rendere ragione delle proprie scelte politiche. Un passaggio decisivo, non eludibile, che non attiene al normale disbrigo degli affari correnti. Ecco perché sarebbe grave se Tajani si acconciasse a un semplice distinguo, pensando di cavarsela con una battuta sulla inaccettabilità delle ricette dell’ultra destra europea. A Roma e a Bruxelles bisogna chiarire cosa significa la chiusura all’estremismo sovranista. La coerenza è un bene prezioso, certamente indispensabile per essere credibili.