Il presidente con fama di supertecnico, Draghi, che da oltreoceano dà opportunissime e lucidissime lezioni di politica all’Ue e formula puntuali proposte per un futuro dell’Europa, deciso dalla politica e non dalla tecnocrazia. Il principe degli editorialisti del Financial Times, Martin Wolf, che spiega le regole del “galateo” richiesto all’Occidente per partecipare al mondo multipolare: l’abbandono di una insindacabile pretesa di superiorità morale e dell’ipocrisia da doppio standard di giudizio.
Non sono che due degli esempi recenti che testimoniano il fatto che nelle democrazie occidentali, in Europa soprattutto, nessuna questione cruciale per il futuro viene più posta ormai dalla politica ma questa tende ad aspettare che le opinioni sulle grandi questioni vengano “sdoganate” sempre da un qualcuno che riconosce sopra di lei. E questo le fa perdere autorevolezza e credibilità nella sua capacità di guida. A forza di aspettare che le questioni ricevano l’imprimatur da qualche guru per poterne parlare, si logora e si frantuma il meccanismo della rappresentanza.
In Italia siamo, purtroppo, a buon punto in questo processo di indebolimento della politica seppur in buona compagnia, basti pensare a cosa succede in Francia. Da noi non restano che parodie di ciò che furono i partiti, sostituiti da capi più o meno carismatici, aziende, interessi di gruppi editoriali o di altra natura, convergenti tutti nell’addomesticare il dibattito politico nel tentativo di condizionarlo, salvo poi trovarsi esposti a ricorrenti ondate di populismo o, peggio ancora, a un crollo della partecipazione popolare al voto, a causa di un deficit di capacità di rappresentanza.
Ma questa è la situazione in cui si deve operare per ridare credibilità alla politica. Occorre continuare a credere alla forza delle idee anche in una condizione così sbilanciata della rappresentanza come quella attuale. In questo senso va l’iniziativa di oggi di Tempi Nuovi. Il processo di riaggregazione dei Popolari, pur nei limiti delle condizioni concretamente praticabili, può risultare molto utile allo scopo, non di aggiungere una sigla in più, ma di aprire le finestre delle asfittiche stanze di una politica divenuta anemica di idee, ai venti della Storia per utilizzarli a portarci nella direzione desiderata anziché subirli.
Se il radicamento sociale e territoriale di cui i Popolari sono portatori, è genuino, non si dovrà aver timore a porre nel dibattito politico i problemi che emergono dalla realtà delle cose anche se non ancora riconosciuti come tali. Ad occuparsi delle nuove fratture emerse nel mondo del lavoro, fra territori, fra classi sociali. A portare avanti un approccio equilibrato, realistico e con al centro l’uomo della questione ambientale. Ad affermare la necessità di un nuovo umanesimo per l’era digitale.
E visto che Mario Draghi – un riferimento imprescindibile per il Centro, per non dire la guida morale – ha spianato la strada (chiunque al posto suo che avesse osato porre il tema dell’inadeguatezza dell’attuale architettura europea di fronte alle nuove sfide sarebbe stato non contrastato sulle idee, ma delegittimato e distrutto con accostamenti infamanti da un sistema dei media che funziona talmente bene a senso unico da rischiare di stroncare sul nascere il pluralismo), sembra divenuto meno arduo per i Popolari anche il compito di elaborare un’idea di Europa adatta al mondo multipolare, attualizzando l’eredità di Mattei, De Gasperi, Moro. Che contempla anche un’attenzione costante al ristabilimento della pace in Europa, una condivisione delle preoccupazioni umanitarie della missione di pace della Santa Sede, e un apprezzamento delle motivazioni che animano gli altri tentativi di mediazione per porre fine al conflitto ucraino, da parte dell’Unione Africana, della Cina, della Turchia
Per queste ragioni il contributo dei Popolari alla politica, non alla spicciolata ma in forma organizzata, non tanto in termini di spazi ma di idee, appare utile e promettente nel curare la politica dalla propria debolezza.