C’è un filo che attraversa la cura
C’è un filo sottile, quasi invisibile, che oggi attraversa i nostri ospedali, le case, le relazioni di cura. È la presenza crescente dell’Intelligenza Artificiale, che entra negli ambulatori, studia le immagini radiologiche, monitora i parametri di chi vive con una patologia cronica.
Un tempo era un tema da convegni; ora è parte del quotidiano. E come accade per ogni grande trasformazione, porta con sé domande che riguardano tutti: non solo i medici, ma i cittadini, le famiglie, le istituzioni, le comunità.
La domanda più urgente non è tecnica: è umana. Che cosa accade alla cura quando un algoritmo si siede accanto al medico? È a partire da questa consapevolezza che l’Associazione FareRete InnovAzione BeneComune APS ha raccolto, nel Manifesto per l’Umanizzazione della Società, una visione in cui progresso e dignità non si escludono, ma si fecondano a vicenda.
La cura non è solo un atto: è una relazione
Quando si entra in una stanza d’ospedale, ci si accorge subito che la cura non è fatta solo di farmaci o terapie. È fatta di parole, di sguardi, di ascolto. È un incontro in cui la fragilità non è debolezza, ma riconoscimento reciproco.
È qui che l’Intelligenza Artificiale pone la prima, grande sfida: può davvero avvicinare, oppure rischia di allontanare?
Il professor Tonino Cantelmi lo ha detto con chiarezza nel Simposio “Bene comune e futuro: verso una società umanizzata”: la tecnologia non è mai neutra. Può amplificare il tempo della relazione o, al contrario, trasformarsi in un filtro impersonale. Tutto dipende da come la integriamo nella vita reale, non da come la immaginiamo nei laboratori.
La cura non si digitalizza. La cura si accompagna.
La comunità come spazio vitale
In un Paese dove milioni di persone vivono in aree interne o periferiche, l’IA può diventare un ponte: una mano tesa a chi non raggiunge facilmente i servizi sanitari, un supporto per i caregiver che reggono il peso silenzioso della fragilità familiare.
La telemedicina, se ben progettata, non è una distanza: è una presenza nuova.
Ma non sostituisce il medico, non sostituisce il territorio.
La comunità resta il primo presidio di salute.
Responsabilità: governare, non subire la tecnologia
L’Intelligenza Artificiale non sceglie da sola: apprende da ciò che le diamo, riproduce ciò che vede, amplifica ciò che trova. È lo specchio della nostra idea di società.
Ecco perché la responsabilità è il vero terreno etico del nostro tempo.
Non si può parlare di salute senza parlare di educazione, lavoro, ambiente, welfare. Come ricorda Stefano Zamagni, il benessere non è la somma di servizi, ma un equilibrio sociale profondo.
Per questo la tecnologia richiede un nuovo patto intersettoriale: tra medici, ingegneri, istituzioni, terzo settore, imprese impegnate e cittadini attivi.
Equità: la prima forma di umanizzazione
L’IA può essere rivoluzionaria per ridurre le disuguaglianze: servizi in aree periferiche, diagnosi precoci, sostegno ai fragili. Ma l’equità non è automatica: è una scelta politica. È la scelta di non lasciare indietro nessuno.
Il Manifesto dell’Umanizzazione parla di dignità, vulnerabilità, unicità.
La tecnologia deve partire da qui: dalla verità profonda della condizione umana.
Dal fatto che la persona non è un insieme di dati, ma un essere relazionale che cresce, si ammala, guarisce, spera.
Il contributo del modello Friday for Life
Questo modello propone una chiave di lettura che integra scienza e vita, logica e significato, razionalità e generatività.
Chiede di valutare ogni innovazione sulla base di una domanda essenziale: favorisce la vita, o la indebolisce?
È un criterio semplice e profondissimo, che restituisce all’uomo il ruolo di custode, non di spettatore.
Costruire un futuro umano nell’era dell’IA
Il futuro non si attende: si costruisce. E la direzione che scegliamo oggi determinerà la società che lasceremo alle generazioni future.
Possiamo immaginare una tecnologia che isola e semplifica, oppure una tecnologia che accompagna, che unisce, che riconosce la dignità dell’essere umano.
Il Manifesto dell’Umanizzazione della società ci indica una strada: non rinunciare all’innovazione, ma orientarla alla dignità, alla giustizia, alla relazione, alla vita.
Rosapia Farese (Roma, 1947), autrice e saggista, è Presidente e co-fondatrice dell’Associazione FareRete InnovAzione BeneComune APS. Con un percorso che intreccia impresa, ricerca sociale e impegno civile, promuove progetti nazionali su salute, ambiente, educazione e lavoro. Autrice di numerosi articoli e contributi culturali, porta avanti una visione di umanesimo civile che unisce etica, responsabilità e innovazione sociale per costruire una società più giusta e sostenibile.
L’Associazione FareRete – Innovazione Il Bene Comune – Il Benessere e la Salute in un Mondo Aperto a Tutti – Michele Corsaro – Organizzazione Non Lucrativa di Utilità Sociale ha sede in Roma “c/o Studio Catallozzi” – Via Bevagna 96 00191 Roma; sede operativa Via Anagnina 354 – 00118 Roma.
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