Tra Meloni e Schlein lo spazio per una nuova aggregazione politica

Ci sono le condizioni per costituire un centro autonomo, non più genuflesso al bipolarismo destra-sinistra ma capace di disarticolare i due poli antagonisti. Forza Italia deve guardare oltre i suoi confini storici.

Purtroppo hanno ragione le due signore della politica italiana quando rivendicano la polarizzazione dei consensi – della minoranza di elettori che ha votato – attorno ai partiti che guidano. Fratelli d’Italia e Partito Democratico escono rafforzati dal voto europeo e confermati nel ruolo di perno delle rispettive coalizioni. Nel contempo però nel Paese sta crescendo anche una domanda, per ora in gran parte insoddisfatta, di una politica più pragmatica ed equilibrata, legata ai problemi dei cittadini, fuori dalle estremizzazioni ideologiche dei neo onorevoli Vannacci e Salis, dei pasdaran del green e del gender, di nazionalisti e populisti.

Come ha osservato Lucio D’Ubaldo, l’esito del voto europeo costringe l’area di centro a ricominciare tutto daccapo. E qui, come è del tutto naturale che sia, si confrontano nell’arcipelago cattolico democratico almeno tre diverse opzioni. La prima è quella dei cattolici nel Pd, con tutte le difficoltà, come spesso ci ricorda Giorgio Merlo, di incidere in un partito ormai mutato nel dna rispetto alle sue origini, divenuto con la segreteria Schlein un partito non più plurale ma solo della sinistra libertaria e delle Ztl.

La seconda opzione è quella di organizzare il centro in un nuovo centrosinistra dopo la tabula rasa fatta dal voto europeo con l’esclusione dall’attribuzione dei seggi di Italia Viva e Azione. Appare scontato che per le prossime politiche vi sarà in ogni caso una sedicente gamba moderata della coalizione progressista. Resta da capire come potrebbero fare le varie formazioni minori di centro a raggiungere un accordo di programma di governo che rassicuri l’elettorato dei ceti popolari e produttivi, sul fatto che un eventuale governo Schlein-Bonelli non imboccherebbe la via verso una deriva massimalista come quella intrapresa in Germania dalla coalizione-semaforo guidata dal cancelliere Scholz.

La terza opzione sulla quale, a mio parere, vale la pena di discutere, è quella di riflettere su come costruire una iniziativa politica adeguata a fronteggiare la vasta crisi di partecipazione e di rappresentanza, testimoniata anche da una astensione che in Italia ha raggiunto il 50%, capace di organizzare in modo autonomo l’ampia area politica di mezzo, che sta tra Meloni e Schlein. Senza genuflettersi al bipolarismo destra-sinistra ma puntando innanzitutto a costruire una propria proposta politica e una propria organizzazione. In tempi di partiti personali e effimere liste di scopo, il solo fatto di proporre di articolare il centro in una forma partito, nel quale si pratichi la democrazia interna, il rispetto per le scelte espresse dagli organismi territoriali anche per le candidature, sarebbe già un grande risultato. Che potrebbe rivelarsi un antidoto alla frammentazione alla cui base quasi sempre non vi sono reali incompatibilità politiche bensì preoccupazioni individuali.

Il voto europeo ci ha detto, credo piuttosto chiaramente, che un tale progetto non potrebbe prescindere da Forza Italia, che nonostante tutto, ha saputo proporsi come una forza rassicurante. Ma allo stesso tempo dovrà saper guardare oltre il partito fondato da Berlusconi, per ambire a quel 20% che al momento rimane solo nei desideri di Antonio Tajani. A fare da collante tra i molteplici tasselli di un centro possibile, dovrebbe essere il Partito Popolare Europeo, confermato a livello comunitario come forza centrale dell’Europa. Come Pd e FdI appartengono a due importanti famiglie politiche europee, così una forza unitaria di centro dovrebbe sapersi proporre come la componente italiana del Partito Popolare Europeo che svolgerà un ruolo decisivo nell’avviare le riforme di cui l’Ue necessita per avere un futuro, nella direzione indicata da Mario Draghi.

Credo valga la pena verificare se una tale prospettiva sia perseguibile per rendere feconda nel presente la cultura politica popolare e cattolico democratica. Per due motivi in particolare. Per non arrivare nuovamente impreparati alle prossime politiche e finire per accettare cosa passa il convento dei due poli maggioritari, senza avere i numeri per imporre le priorità del centro. E per incidere o sulla formazione di nuove alleanze pre-elettorali che escludano le estreme, oppure, consci di poter conseguire comunque un risultato significativo, per incidere dopo il voto nel formare maggioranze parlamentari diverse da quelle proposte agli elettori dai poli di destra e di sinistra. In sostanza la scommessa, e la necessità per la nostra democrazia, di un centro autonomo, ma tutt’altro che equidistante o indifferente al merito delle questioni.