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martedì, Febbraio 25, 2025
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Trump e la politica, questione di trampoli.

La logica del Presidente può sembrare strampalata, ciò malgrado non è detto che non sia efficace. Nel procedere forse correrà il rischio di perdere equilibrio e di reggersi sui trampoli di fragile fattura.

Nel suo scritto “Libero chi legge” Fernanda Pivano ci racconta di un “America amara” descritta da Emilio Cecchi e rammenta le quattro libertà di Franklin Delano Roosevelt messe in fila nel Discorso annuale sullo stato dell’Unione nel 1941. 

Oltre a quella di espressione, religiosa e della miseria, l’ultima è quella che oggi appare ancor più urgente. La libertà dalla paura “che significa prevedere una riduzione mondiale degli armamenti ad un livello tale e così profondo che nessuna nazione possa trovarsi nella posizione di commettere un atto di aggressione fisica nei confronti di altri – ovunque nel mondo. Questa non è la visione di un lontano millennio. Si tratta di un preciso piano per un mondo possibile raggiungibile nel nostro tempo e dalla nostra generazione. Questo mondo possibile è la vera negazione del cosiddetto nuovo ordine di tirannia che i dittatori cercano di creare con lo scoppio di una bomba”.

Il buon Delano insegnava anche il valore della democrazia: “Così come gli uomini non vivono di solo pane, non combattono solo con le armi”.  Sembra roba di uno che non ha nulla a che vedere oggi con Trump e compagni, che pure risultano essere della stessa terra. Roosevelt con il suo prestigio fu eletto per quattro mandati consecutivi. Successivamente, il 22° emendamento della Costituzione ha vietato questa possibilità a meno che non se ne preveda l’abrogazione attraverso il ricorso a maggioranze politiche di arduo raggiungimento.

Forse Trump ci sta facendo un pensierino o forse no, certo di riuscire a realizzare tutti i suoi propositi nel tempo di manovra che intanto gli è stato riconosciuto. Vicino a sé non ha il “brain trust”, il consorzio di cervelli di cui si avvalse il pluripresidente nel secolo scorso ma si muove con il metodo dello “shock e awe”, del colpisci e terrorizza che sta gettando l’Occidente in apprensione. Per andare al punto, non guarda agli impegni presi dal suo recente predecessore Biden ma sembra condividere la teoria del filosofo Galimberti che, se si fosse ben compreso, ci dice come il tradimento si traduca in uno “svincolarsi da un’appartenenza e creare uno spazio di identità non protetta da alcun rapporto fiduciario, e quindi in un certo senso più autentica e vera”. Insomma, il tradimento come forma di emancipazione dalla propria storia.

La logica di Trump può sembrare strampalata, ciò malgrado non è detto che non sia efficace. Per riuscire sarà costretto a camminare sui trampoli per evitare le trappole sul terreno e per superare più agevolmente le paludi avversarie. Nel procedere forse correrà il rischio di perdere equilibrio e di reggersi appunto precariamente sui trampoli di fragile fattura, ma ormai è così che ha deciso. Per vantaggio potrà saltare le pozzanghere che non piacciono ed anche gli interlocutori che rivendicano un ruolo ed una interlocuzione.

Del resto il trampolo è simbolicamente anche un piedistallo, un modo di sopraelevarsi per osservare la situazione dall’alto, con una veduta che consente il più agevole dominio della situazione. Per adesso non sembra si stia muovendo con la delicatezza dei pennuti trampolieri che sguazzano nel fango per nutrirsi di insetti e crostacei. Avanza con passi pesanti, lasciando segno grave del suo passaggio, calpestando tutto ciò che gli si intromette. Il suo pasto è piuttosto fatto di litio e minerali rari, ma questo poco importa.

Può darsi invece che, a dispetto dei suoi detrattori, sappia perfettamente saltare da un trampolino di sua invenzione per far spiccare il volo ad una pace nel mondo di cui non si vede minima traccia. Per i suoi oppositori, ha rinnegato i buoni e sani ideali della sua patria, stracciandone il decoro in mille pezzi non più ricomponibili per il futuro che non avrà mai più fiducia nella bandiera a stelle e strisce.

I Renegades erano un complesso degli anni ’60 che cantarono, tra l’altro, in quel di Sanremo un pezzo dal titolo “Un giorno tu mi cercherai”. Non è chiaro se sia stata una profezia ispirata ad una nobiltà maldestramente smarrita e buttata nel cestino insieme al buon Delano o se invece, dopo le critiche, sia il postumo riconoscimento a Trump delle sue virtù. Si resta in attesa dell’atto finale e di un sipario abile a nascondere eventuali parti di scene sconce ed a fare da paravento al tempo furbo che verrà.