Su un bollettino interuniversitario sulle discriminazioni di genere (e non solo), ho trovato due notizie di apertura: il taglio dei fondi, deciso dal presidente Donald Trump, all’Università di Harvard e, in prospettiva, ad altri atenei, e il fidanzato virtuale, creato tramite l’intelligenza artificiale, di Zhong, una ragazza cinese. Una tendenza destinata a estendersi, probabilmente: dinanzi alle difficoltà e alle incomprensioni che scaturiscono dagli incontri con persone in carne e ossa, si preferisce sostituirle con creature concepite “su misura”.
Ecco, ad accomunare le due notizie, mi son detto, è la paura: la paura del diverso, dell’altro/a, si tratti del mondo della ricerca e del sapere (dei saperi) o delle relazioni interumane.
Netanyahu e l’insicurezza esistenziale di Israele
Proprio lo stato d’animo della paura, poi, ha caratterizzato le scelte del Premier israeliano Benjamin Netanyahu e, più in generale, la logica degli “attacchi preventivi”. L’insicurezza esistenziale di Tel Aviv si è sposata con i timori di Netanyahu sul proprio futuro e sulla sua stessa sopravvivenza politica.
L’Iran dei bunker e la scena primaria
Proprio la paura, del resto, lega la classe di governo israeliana a quella iraniana: non a caso, l’ayatollah Ali Khamenei si è trovato in un bunker e avrebbe ceduto parte dei poteri operativi ai pasdaran, i fedelissimi Guardiani del regime. Un regime, quello della Repubblica islamica di Teheran, contrassegnato da quella sorta di “scena primaria” rappresentata dalla deposizione e dall’esilio a Parigi di Abol Hassan Banisadr, nel 1981, il primo presidente del nuovo Stato, appena due anni dopo il ritorno dallo stesso esilio francese. In quel momento gli ayatollah fecero prevalere la paura, soffocando la speranza suscitata dall’evento.
Speranza e paura come discriminanti
Più in generale – lo scrivo soprattutto grazie alla lezione dell’indimenticato Salvatore Veca – speranza e paura possono esser considerate, nel XXI secolo, le nuove (non inedite) discriminanti. Di fronte all’incertezza e al caos, si può provare a suscitare e a costruire speranza o, al contrario, ci si può ritrarre nei bunker, materiali e soprattutto metaforici.