C’è poco da dire e da fare. Ci sono immagini che si passano per dovere ma che in realtà suonano monche per la loro mancanza di fracasso, dal detonatore consunto, ripetizioni di altri episodi già accaduti, al meglio capaci di portare un dolore che castra ogni lamento, destinate a stare a cuccia, opportunamente riposte perché oggi si fa così. “Stabat mater dolorosa iuxta crucem lacrimosa”, la Madre addolorata stava in lacrime presso la croce su cui pendeva il Figlio, è la preghiera attribuita a Jacopone da Todi, scritta per l’uccisione di Cristo, il Figlio di Dio. Giovanni Battista Pergolesi ci ha messo vicino una musica nota al mondo.
La scena si è ripetuta qualche giorno fa con qualche aggiustamento, adattamento acconcio ai tempi attuali. Non siamo in Palestina ma in Tunisia, un paese che fa fatica a trovare l’etimologia del suo nome e che comunque riesce a far parlare di sé. Si rimpalla i migranti subsahariani, gli africani dalla pelle nera, con la Libia, paese che invece prende nome da un geografo italiano, tal Minutilli, e prima ancora da una delle antiche popolazioni della Cirenaica. Che dietro ci sia qualche secolo di storia o meno è indifferente. C’è sabbia da una parte e dall’altra ed altrettanta a dividere i due paesi. Chi voglia andare a piedi da quelle parti è destinato ad un bagno di sabbia con il rischio di restarne insabbiato al pari dello scarso clamore che seguirà se ci si lascia la pelle.
Non che ci sia una gran volontà di fare quella passeggiata, ma se ti deportano ai confini della Libia c’é poco da fare. Non si tratta comunque di perdersi gioiosamente nei souk celebri della Tunisia. Lo scenario è il deserto e non la schiamazzante Gerusalemme della morte di Gesù. Non ci sono donne che urlano e soldati che frustano e attenti a mantenere un minimo di ordine per dar corso alla crocefissione. In Tunisia si va al risparmio, di tutta questa scenografia si può fare volentieri a meno. Basta lasciare una madre con la sua bambina ai margini del deserto intimando che indietro non si può tornare, anche se al confine libico, semmai raggiunto, si viene respinti. E’ una rotta di annientamento.
Qualcosa di simile quando gli oppositori del regime in Argentina erano fatti fuori, lanciati da un aereo in mare aperto, i voli della morte per intenderci. Sempre con un occhio alla casse pubbliche si evita di sprecare benzina, semplicemente abbandonando i migranti a se stessi in un viaggio senza ritorno. Rommel, la volpe del deserto, si compiacerebbe per una soluzione così a portata di mano. Madre e figlia le hanno trovate morte abbracciate con la faccia riversa nella sabbia del deserto, deposte entrambe dalla vita che le ha scaricate appena è aumentata la temperatura delle ambizioni.
Alla scena manca la croce e c’è un in più di pietà. Che sotto il sole cocente sia morta prima la figlia o la madre è certo che nessuna è rimasta per troppo tempo a contemplare la fine dell’altra. È solo questione di giorni o di ore. Senza acqua non c’è speranza di cavarsela. Deserto sta per abbandonato, un posto che non è frequentato, così tosto che lo Spirito pensò bene di portarci Gesù per metterlo alla prova di fronte alle tentazioni del diavolo. È quella una terra dove, per il sole che picchia, i pensieri ti ribollono fino alla insurrezione, al punto di traslocare lasciandoti da solo con il tuo corpo di cui non sai più che fartene. Vorresti liberartene ma non dipende da te, puoi solo augurarti che il caldo non sia a corto di forze e si spicci a farti secco.
Per la sete la lingua si attacca al palato, la incolla in modo che tu non possa neppure inveire contro Dio, il cuore ha battiti che si appiccicano l’un l’altro e non ti resta che ingoiare aria che ha il peso di sassi. “Ak” è la radice indoeuropea di acqua, indica ciò che si piega, prendendo per magia la forma di ciò che la contiene. Quella madre, con la sua bimba vicina, si è piegata agli eventi, adattandosi per come poteva al potere di uomini cattivi che l’hanno invitata ad un pellegrinaggio privo di meta.
Nel mare i migranti scompaiono dissolti dalle onde e forse anche sbranati dai pesci. Non ve ne resta traccia. Nel deserto è probabile che restino scheletri a fare da contorno e da monito a chi vi si voglia addentrare. Un padre ha dichiarato che avevano intrapreso il viaggio nella speranza di poter mandare a scuola la propria bimba. DI nuovo uno che non ha imparato che anche i sogni non devono essere presuntuosi e stare al posto loro. Un decennio fa la Tunisia ha conosciuto la rivoluzione dei Gelsomini, emblema floreale della Tunisia, così da non sfigurare a fronte delle precedenti rivoluzioni delle Rose in Georgia e dei Tulipani in kirghizistan
Kais Saied è il nome del presidente attuale della Tunisia. Kais vorrebbe dire abile, creativo e soprattutto saggio, tanto da aver sospeso il Parlamento, mandato a casa il Primo Ministro ed accentrato i poteri nelle sue mani. Le donne non si toccano neanche con un fiore. Questa volta è ammessa una eccezione. Speriamo che vicino ai corpi di quella mamma con la sua figlioletta nasca una rosa del deserto e che nessuno di potere la recida.