“Non disprezzare la sensibilità di nessuno. La sensibilità è il genio di ciascuno di noi”. Parole che denotano un’attenta osservazione del genere umano. Sono di Charles Baudelaire, poeta e primo vero critico delle Arti, uomo di cultura dalla raffinata eloquenza e personale stravaganza. Penso siano adeguate per inoltrarci nel mondo di uno dei maggiori protagonisti del Romanticismo ed uno dei massimi artisti inglesi: Joseph Mallord William Turner (1775-1851).
La Tate Britain di Londra (inaugurata nel 1897 con il nome National Gallery of British Art, fu rinominata Tate Gallery nel 1932 e poi Tate Britain, quando fu aperta la Tate Modern nel Duemila) ha allestito, fino al 7 marzo 2021, una grande personale di Turner con ben 160 opere. La mostra è stata organizzata in collaborazione con il Kimbell Art Museum e il Museum of Fine Arts di Boston.
“Turner’s Modern World”, cita il titolo. Il Mondo moderno… Turner è moderno nella ricerca, nel suo ispirarsi a tutto ciò che è nuovo, attratto dalla rivoluzione industriale, che ha cercato di percepire oltre alla sua dimensione prettamente tecnica, ossia nel suo aspetto filosofico e nel mutamento della realtà britannica. Conseguentemente, egli è anche attento osservatore dei cambiamenti sociali e della politica le cui vicende rende, talvolta, pubbliche con la pittura. Come, ad esempio, gli orrori delle guerre napoleoniche (“Il campo di Waterloo”) e le sue “dichiarazioni visive” contro la schiavitù (si veda “La nave negriera” del 1840, in cui si coglie angoscia).
Egli ama le scoperte tecnologiche. Dipinge treni a vapore che invadono la tela con il loro fumo, vortici di fuoco che sembrano uscire da bocche di draghi. Osserva con stupore navi di ultima generazione ed è curioso verso le novità, tra tutte quella relativa alla fotografia. Nel 1847, si fa immortalare in un ritratto dal fotografo John Mayall. Si narra che era terrorizzato, attratto, ma al tempo stesso impaurito, da quella macchina magica che poteva rubargli l’anima e gli imponeva di stare immobile con lo sguardo verso l’obiettivo, che fissa il momento e crea memoria.
Turner ha un carattere irrequieto, calmato dal padre William Gayone che per anni lo seguì o lo aiutò nel suo lavoro, preparando i colori e le tele nonché affiancandolo in quella che oggi si definisce, in senso lato, “promozione”. Padre e figlio erano uniti da grande affetto e dal ricordo di una donna, la madre, Mary Marshall, che aveva perduto una bambina e si era ammalata gravemente nel fisico e nella psiche fino ad essere ricoverata al Bethlehem Hospital, manicomio di Londra, dove moriva nel 1804. La fragilità emotiva dell’autore si coglie in tutti i suoi lavori. Egli sembra non mettere pienamente a fuoco l’atteggiamento nei confronti della vita, alternando attimi di felicità con lunghi periodi di insoddisfazione e scontrosità, dialoghi vivaci e costruttivi con prese di posizione apparentemente arroganti e trancianti. Estremo nella calma e nella violenza.
Egli è un artista che ama elaborare le tonalità, variando le vibrazioni delle tinte che rendono le sue tele estremamente realistiche e sa fondere con armonia la sfera fantastica con quella concreta. Si possono ammirare rossi che si sfaldano e colpiscono non soltanto lo sguardo dell’osservatore, ma anche gli altri suoi sensi. Materia e spirito. Ed ecco che sembra di avvertire il crepitio del fuoco immergendoti in “Incendio alle Camere del Parlamento” del 1834 (fuoco, morte, luce, amore e vita). Era il 16 ottobre e Turner era presente: tornò a casa e realizzò di getto l’acquarello esposto in mostra ed a questo fece seguire alcune pitture (tra tutte “L’incendio delle Camere dei Lord e dei Comuni” del 1835: paesaggio e storia). Sono una sorta di realtà trascendenti, come quella di “Bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi” del 1812: un elefante in lontananza ci riporta una immagine che giustifica il titolo. La dinamica di uno spazio globale fa il resto.
Lo spunto delle sue realizzazione veniva fissato attraverso una serie di schizzi, appunti, disegni, puntualmente riportati nei suoi album che portava sempre con sé. Egli rappresenta il reale (da creare e non imitare) così come lo vede e lo sente e spesso ha necessità di vivere personalmente l’emozione per poi filtrarla, mantenendo una linea soggettiva di quanto narra. Le sue sono visioni che relazionano l’interiore e l’esteriore, la passione e la ragione. Vedere ciò che succede per poi dipingere l’accaduto. Da questo atteggiamento estetico e critico nascono opere come “Tempesta di neve, battello a vapore al largo della bocca di un porto” del 1842 (si fece legare all’albero maestro ed entrò nel vortice atmosferico): le nubi scure che avanzano e si scontrano con il bianco della neve mentre la nave lotta, nelle acque burrascose, con elementi di una natura maligna e divina allo stesso tempo. Dell’anno successivo è “Luce e colore (la teoria di Goethe) – Il mattino dopo il Diluvio. Mosè scrive il libro della Genesi.” Anche in questo caso esiste una forza centrifuga, una sorta di caos dalle forti spinte astratte nate da sperimentazioni di luminosità, scelta di tinte originali e luci deviate. La radiosità della materia diventa forma che gioca con riflessi (per anni aveva insegnato prospettiva ed aveva indagato sul fenomeno della rifrazione).
Turner (che apprezzava artisti come Lorrain e Poussin ed ammirava l’arte italiana) è pittore della luce e dello spazio, che supera leggi di stampo impressionista che seguiranno, innesca un link di rimando al vissuto che egli combina con immaginazione e forza esecutiva, usando addirittura le mani per spalmare i colori, sputando sui quadri se serviva un po’ d’acqua per diluire e, forse, anche per provocare gli astanti. Insomma… azione (action) ante litteram! La sua arte sembra sempre essere manifestazione di lotta e, nonostante tutto, di fiducia e speranza. Del resto lui è inglese e non possiede quegli elementi nichilistici-pessimistici tipici di altri romantici europei (come i tedeschi).
Sicuramente una costante è il suo rapporto con la natura, con la vastità del creato, con i fenomeni oggettivi e soggettivi. Forse i suoi quadri sono stati così dipinti anche per creare un turbamento, una insicurezza, davanti ad un mondo ricco di sfumature. Le modulazioni di tonalità invadono atmosfere che alla fine sono immerse in luci, che sembrano sconfiggere tutto ciò che è materiale, mantenendo tematiche romantiche di vita e di morte. Nel periodo 1835-40 egli realizza “Barche sul mare”: uno sfondo minimalista e tre indimenticabili pennellate di un grande deviante dell’arte. Una magica visione, il sublime che ricorda la concezione del poeta romantico Percy Shelley: “tutto tende ad essere luce e tutto tende ad essere vita”.
Sicuramente il fruitore più attento vedrà nella sua opera l’avvento dell’Astrattismo e di quella “spiritualità dell’arte” che in Kandinskij ha avuto il suo più alto esponente.