Sconfiggere Putin è l’unico modo per uscire veramente dal Novecento e dalle sue logiche di contrapposizione e di guerra. È il passaggio obbligato per poter mantenere il “sogno europeo” di pace e di cooperazione. Oltre ogni vecchia o nuova cortina di ferro: perché l’Europa così intesa non ha confini né ad Est, né a Sud.
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Non sono bastati e non basteranno i doverosi e sacrosanti appelli alla Pace e alla “soluzione politica” per fermare la guerra di Putin. E neppure le rassicurazioni che l’Ucraina non sarebbe entrata nella Nato (cosa che tutti i leader europei avevano già chiarito nel loro pellegrinaggio a Mosca prima del 23 febbraio scorso: con tutta evidenza non era questo il problema). Forse qualcuno si era illuso che “l’operazione militare speciale” fosse rivolta “solo” (si fa per dire) al consolidamento della sovranità russa su Crimea e Donbass: non aveva capito granché di Putin e delle sue intenzioni.
Può anche darsi che questo sia il punto di caduta, il ripiego temporaneo. Ma esso – se così sarà – dipende solo dalla resistenza politica e militare ucraina. Una resistenza che Mosca non aveva previsto. E che, senza l’aiuto anche militare e di intelligence dell’Occidente, non sarebbe potuta esistere. Mi stupisco della superficialità di alcune analisi. Per il regime russo, questa non è una “guerra” (ma una “operazione speciale interna”) per la semplice ragione che a Mosca non si considera l’Ucraina uno Stato sovrano, ma un territorio russo indebitamente costituito in forma di Stato nel 1917; indebitamente indipendente dalla fine dell’URSS; e poi, ancor più indebitamente, entrato – per decisione democratica dei suoi cittadini – in ambito “europeo”.
Punto. Punto, ma non “a capo”. Perché il progetto di Putin risponde a tre precise strategie. La prima. Elaborare definitivamente il lutto per la fine dell’Unione Sovietica riconnettendosi direttamente alla stagione zarista, per dare corpo ad una pulsione imperiale e nazionalista, condita con istanze vagamente spirituali (“trono e altare”, con il sacrilego appoggio del Patrircato Ortodosso Russo). La seconda. Bloccare ogni sviluppo ad Est non già della NATO, ma dei princìpi della democrazia europea di ispirazione liberale, per evitare ogni forma di contagio che possa compromettere il regime illiberale ed autocratico che egli interpreta, in modo sempre più liberticida e violento e che – almeno nelle grandi città e tra le nuove generazioni – incomincia a vivere qualche coraggiosa opposizione. La terza. Cogliere l’opportunità offerta dagli Stati Uniti in forte crisi di carisma (e di lucidità politica) a livello globale e da una Europa ancora non pienamente unita ed autorevole in politica estera, energetica, di intelligence e di difesa. Ciò allo scopo di essere parte di un nuovo “patto di sindacato” nella leadership mondiale, assieme alle altre “democrature” emergenti e di occupare così il vuoto lasciato dalla evidente crisi delle Democrazie Occidentali in larga parte del Mondo.
Vedremo presto – aggiungo – ciò che significa tutto questo, in termini globali, anche in riferimento al ruolo oggi imperscrutabile della Cina. E lo vedremo non solo sul piano economico, ma anche su quello dei valori democratici e della libertà. Chi si attarda ancora a pensare che il “problema” sia la NATO; chi contesta ogni forma di aiuto e di supporto all’Ucraina che non consista in iniziative umanitarie, in ogni caso dovute per ragioni inalienabili di civiltà; chi butta la palla in tribuna citando le altre guerre in corso nel Mondo e le relative colpe storiche dell’Occidente (ovvio che le une e le altre ci sono e sono terribili) rischia o finge di non capire tutto questo. L’assenza di un terzo dei parlamentari italiani durante il collegamento con il Presidente ucraino è stata vergognosa. Abbiamo l’unico Parlamento in Europa che fa trasparire questa forma di “equidistanza”: indegna sul piano etico, sprovveduta su quello politico e inaccettabile per la credibilità di un Paese fondatore dell’Europa.
Meno male che la parte prevalente delle forze politiche, (in primis – devo dire – il Partito Democratico di Enrico Letta, ma non solo), il Capo dello Stato ed il Premier Draghi hanno saputo fino ad ora tenere la barra dritta. Ma non illudiamoci: la strada è ancora lunga e costosa anche per tutti noi. E non finirà con l’auspicato “cessate il fuoco”, che pure Putin pare non considerare affatto, se non dopo la resa incondizionata e la distruzione totale dell’Ucraina. Putin (non la Russia) non potrà più comunque essere un interlocutore credibile e le giuste sanzioni, se revocate a breve, saranno state solo un costoso paravento della nostra pavidità democratica.
La Storia, anche europea, ci dice però che quando la democrazia è pavida, alla fine prendono il sopravvento il sopruso e la violenza. Il “putinismo”, variamente interpretato in Italia – anche con forme mai chiarite di sostegno russo a tutti i movimenti che hanno come scopo la demolizione della nostra (debole) democrazia rappresentativa – è quanto di più minaccioso possa esserci sul nostro percorso di Paese libero, democratico, europeo. Forse per questo Mosca se la prende sopratutto con noi italiani. La bizzarra denuncia penale presentata nei giorni scorsi dall’Ambasciatore russo a Roma contro un grande e lucido giornalista come Quirico ne è l’ennesima prova. Mosca contava evidentemente sul fatto che potessimo essere l’anello debole della catena. E, temo, ci era quasi riuscita.
Ma le cose, per fortuna, sono andate diversamente, sia con la rielezione di Mattarella che con il Governo Draghi. Tocca però oggi alla società civile, oltre che alla Politica, riconfermare il solco entro il quale la Repubblica democratica è nata e si è sviluppata. Ogni equidistanza non è un contributo alla Pace e ad un Mondo migliore: è oggettiva connivenza con l’aggressore e con la sua visione del Mondo. Sconfiggere fino in fondo Putin è l’unico modo per uscire veramente dal Novecento e dalle sue logiche di contrapposizione e di guerra. È il passaggio obbligato per poter mantenere il “sogno europeo” di pace e di cooperazione. Oltre ogni vecchia o nuova cortina di ferro: perché l’Europa così intesa non ha confini né ad Est, né a Sud. Oltre – infine – ogni tentazione di far coincidere le identità dei popoli con i rigidi confini degli Stati Nazione usando la forza delle armi ed il veleno del nazionalismo. Questione che noi trentini e sud tirolesi ben conosciamo.
L’Europa – intesa anche come “insieme di minoranze” – non può uscire dal Novecento se non con la sconfitta di Putin e della sua pulsione neo imperialista. Mai come oggi servono dunque i “valori e la forza” della Democrazia. Essa vive uno dei suoi momenti di maggiore crisi interna, ma a maggior ragione deve trovare un suo sentiero di rigenerazione innovativa e non di rassegnato cedimento. Abbiamo tutti – leader politici e popolo – il dovere morale e politico di testimoniare con coraggio questa convinzione.
Post Scriptum
Vedo che alcuni politici e alcuni frequentatori di salotti televisivi italiani, già estimatori di Putin, si iscrivono oggi al “partito di Papa Francesco” sul tema delle spese per la difesa. Indecorosa e strumentale ipocrisia.
Francesco fa il Papa, per nostra fortuna: non assomiglia affatto al Patriarca della Chiesa Ortodossa di Mosca che benedice le truppe russe. Che Dio ci conservi ancora a lungo Papa Francesco. E che la sua accorata testimonianza converta il cuore e la mente dei tanti “portatori di guerra” come Putin e conforti, nel ricordo del Beato resistente Teresio Olivelli, i “Ribelli per amore” ucraini.
Ai governanti europei (compresi quelli di fede cristiana) tocca il compito laico e la responsabilità storica di mettere in campo ogni iniziativa politica per difendere i principi della Democrazia, della Libertà e della Pace. Ivi compreso un adeguamento degli apparati di difesa militare di livello europeo e non più nazionale. La Democrazia Europea ha bisogno di valori e di forza. Per difendere se stessa. Per dare un contributo alla difesa dei principi universali di libertà e di umanità su scala globale. Per poter concorrere a costruire un Mondo più equo e più multipolare. Per impedire che lo scenario del futuro sia quello di una leadership affidata alle “democrature” autocratiche. Ed anche per evitare di affidare tutto ciò alla sola forza militare degli Stati Uniti, partner essenziali ma, nel contempo, in piena crisi di “carisma” a livello globale.
Ci provarono i padri dell’Europa di cultura Cristiano-Democratica – in primis Alcide Degasperi – subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Ma il progetto della CED naufragò per decisione della Francia. Oggi, questo punto è di capitale importanza per l’Europa e per il suo percorso di unità politica. La discussione italiana sul rispetto degli impegni assunti in sede NATO a proposito del 2 per cento del PIL, se collocata in questo contesto, assume i connotati di una triste polemica domestica, di profilo assai incompatibile con i compiti di un Paese Fondatore dell’Unione Europea.