Mentre Dmitry Peskov portavoce del Cremlino afferma senza mezzi termini che mai e poi mai la Crimea potrà tornare ad esser parte dell’Ucraina e Zelensky ribadisce l’esatto contrario – e cioè che di pace non si parlerà fino a quando l’Ucraina non avrà ricostituito la sua integrità territoriale: “Quella è la nostra terra”. E da Washington arriva l’assicurazione che gli Usa non riconosceranno mai la “presunta annessione russa”, nel frattempo l’altro falco ed ex presidente Medvedev minaccia per l’ennesima volta il ricorso alle armi nucleari. La situazione di stallo si protrae senza spiragli risolutivi.
L’Ucraina è sempre sotto assedio e l’esercito russo non accenna a rallentare l’azione distruttrice, avvalendosi di ogni mezzo militare e lasciando intendere che se mai i bombardamenti saranno intensificati e verranno chiamate alle armi leve di giovani riservisti. Senza contare il sostegno del ceceno Kadirov. Dall’Europa giungono messaggi rassicuranti per Kyiv: non verrà meno il sostegno militare degli Stati membri, la linea di affiancamento all’Ucraina nella difesa del suo territorio e della popolazione è imboccata da tempo e indietro non si torna.
L’impressione è che Putin voglia stringere i tempi portando a compimento il suo piano di annientamento politico dell’Ucraina: il consenso interno sembra unanime ma nelle segrete stanze del Cremlino qualcuno sta certamente pensando ad una sua deposizione, visto il bilancio bellico negativo e quello geopolitico fallimentare dell’operazione militare speciale avviata il 24 febbraio dello scorso anno. Il mondo è con il fiato sospeso poiché qualcosa potrebbe sfuggire di mano: in Russia dagli oligarchi alla gente comune è netta la sensazione che si è perduto molto più di quanto si sia conquistato. Lo scontro con l’Occidente è ormai radicale ma Biden – certamente in previsione di una nuova candidatura alle prossime presidenziali americane – ha calato l’asso della visita a Kyiv che vale più di qualsiasi rassicurazione da oltreoceano. Ormai molti leader occidentali, Meloni compresa. sono stati da Zelensky a garantire che il sostegno non verrà mai meno. La nostra Presidente del Consiglio è decisamente convinta e favorevole ad un’azione di netto schieramento, anche per tacitare i malpancisti alleati di governo.
Il piano di pace di Xi Jinping articolato in una dozzina di punti non è un endorsement per la Russia e comunque. al momento. è l’unica base di trattativa negoziabile, dopo il tentativo di Erdogan. Non va dimenticato tuttavia il monito di Federico Rampini: la Cina non ha vocazioni di mediazioni quanto piuttosto si crea degli alibi per giustificare – in qualunque modo vadano le cose – un attacco a Taiwan. I missili sono puntati da tempo. Il dittatore cinese sa però che prima di dispiegare la propria azione predatrice deve costringere in qualche modo la Russia ad una sorta di accordo che la renda innocua e se mai inglobata nel disegno di un nuovo ordine mondiale; quell’ordine che Putin aveva sognato, ma che è certamente nelle mire del leader cinese. Alleato e consigliere sì, ma dalla cima del podio delle superpotenze.
“Fermare Pechino” è sempre un monito di grande attualità: gli occhi sono puntati sul conflitto alle porte dell’Europa ma è dal Pacifico che sembrano dipendere i destini del pianeta e la configurazione di un possibile nuovo ordine mondiale. Non va dimenticato che il Memorandum della via della seta è sempre in vigore e Xi Jinping ha ben inteso che può essere utile per penetrare nel ventre molle dell’Europa più di quanto lo sia con i carrarmati o con la minaccia atomica.