Perché Zamagni prende a modello Nancy Fraser? La sua teoria della giustizia sociale può rigenerare la politica dei Popolari.

Il discorso sulla democrazia, con la tensione ideale e politica che troviamo nella “teoria della giustizia” di Nancy Fraser, deve animare la nuova iniziativa dei Popolari. Zamagni gioca a rimettere in discussione il modello consolidato dell’impegno politico dei cattolici.

Ad ogni elezione, i rappresentanti dei partiti politici si ritrovano davanti almeno dieci o quindici movimenti che si dichiarano portatori, a vario titolo, delle istanze dell’elettorato cattolico. E sarà così pure nella tornata amministrativa di questo prossimo maggio. La scena ha del surreale per il fatto che ognuno di essi, legittimamente, rivendica un pezzettino di quella “identità popolare”  di ispirazione cristiana, un tempo rappresentata dalla Dc. Tuttavia, la fotografia che impressiona gli elettori di oggi è quella di un realtà composta da soggetti indistinguibili. In effetti, sfugge il senso di una chiara connotazione, tanto che l’effetto finale, in un ambito più largo di cause, consiste nella crescita abnorme dell’astensionismo: meglio, se il quadro è incerto, restare a casa in attesa di un possibile schiarimento di idee e di politiche. 

Qui soccorre l’ultima lezione di Stefano Zamagni agli amici di “Insieme”. Finora, ha spiegato l’economista, abbiamo ragionato su movimenti che hanno posto al centro o le libertà o la giustizia sociale. E questi due pilastri sono serviti a definire la dialettica bipolare, con la distinzione tra destra (valori e libertà) e sinistra (equità e giustizia sociale). Consolidati questi due pilastri, i cattolici in politica sono stati classificati in base al criterio della “morale” o del “sociale”. Ma ora avanzano movimenti che non si identificano in questo binomio, bensì intendono operare alla luce di una nuova critica della società (e quindi del capitalismo). Nancy Fraser, filosofa americana, li ha definiti movimenti emancipatori che invece di chiedere più libertà o più giustizia sociale, rivendicano il riconoscimento della loro specificità, quale motore di innovazione della società stessa. Ed è lo status di questa identità nel contesto sociale che determina il loro orientamento politico, che così diventa non prevedibile, perché lavora sul livello di soddisfazione del livello di riconoscimento (esempio tra tutti il movimento delle “sardine”, con forte fase iniziale di riconoscimento e poi riassorbite nell’area giustizia sociale). 

Chi è, dunque, Nancy Fraser per essere tirata in ballo con tanto fervore da Zamagni? Molto apprezzata negli Stati Uniti dai gruppi ecologisti e della nuova sinistra,  rappresenta un punto di riferimento ineludibile nella ricerca di una teoria della giustizia sociale molto sofisticata ed originale. Oltre l’ineguale distribuzione delle risorse, è proprio la mancanza di regole per il rispetto delle identità – si legge nell’opera della filosofa americana – a determinare la “diseguaglianza di riconoscimento”. Per essa s’intende il fatto che in un determinato contesto sociale alcune persone o gruppi non vengono considerati uguali rispetto ad altri, sia dal punto di vista giuridico che culturale. Tale disuguaglianza può essere il risultato di stereotipi, pregiudizi e discriminazioni basati sulla razza, il genere, l’etnia, l’orientamento sessuale e altre caratteristiche personali. La Fraser sostiene, pertanto, che la disuguaglianza di riconoscimento può essere altrettanto dannosa e ingiusta della disuguaglianza economica e che una teoria della giustizia sociale, se pensata in modo organico, deve quindi affrontare entrambe le questioni. Per questo in alcuni dei suoi libri, come Iustitia Interrupta (1997) e Scales of Justice (2008), ha elaborato il concetto di “parità di partecipazione” o “parità di status”. Ai suo giudizio, la parità di partecipazione richiede che ogni persona abbia la possibilità di operare pienamente nella vita sociale e politica della comunità in cui vive, e di farlo senza subire discriminazioni di alcun genere.

Dunque, ci sono elementi di forte suggestione per dare forma a una proposta politica aggiornata. La questione riguarda direttamente i Popolari, coloro cioè che hanno posto a fondamento dell’agire politico l’uomo e la sua relazione comunitaria. Ora, dietro l’appellatativo di “popolari” si ritrovano compagini di visione politica molto diverse tra loro. Dichiararsi popolari non è difficile, difficile è riuscire ad esserlo davvero. Perciò non tutte le componenti politiche “a impronta cristiana”, che ad ogni tornata elettorale bussano alle porte dei partiti, possono dirsi autenticamente popolari. E allo steso modo non dovrebbe più essere possibile che l’eccessiva parcellizzazione dei movimenti di matrice popolare sia così insuperabile, vista l’esistenza di valori fondanti univoci. Allora, anche solo per ragioni di buon senso, converrà ricondurre entro un disegno di unità possibile tutto ciò che ora è disperso. 
È mai possibile che il discorso sulla democrazia, con quella tensione ideale e politica che troviamo appunto nella “teoria della giustizia” di Nancy Fraser, non debba animare la nuova iniziativa dei Popolari? Bisogna prendere slancio e pensare in grande. Zamagni, certamente, gioca a rimettere in discussione il modello consolidato dell’impegno politico dei cattolici. Finora in molti hanno preferito affidarsi alla confort zone che accoglie e preserva, vieppiù stancamente, la tradizionale e logora distinzione tra una grande “famiglia popolare” e un’altrettanto grande “famiglia socialista”. È tempo invece di allargare gli orizzonti, con fantasia e passione, intrecciando i fili della collaborazione con quanti possano essere interessati al progetto neo-umanista di una democrazia profondamente rinnovata, con al centro la connessione tra giustizia e libertà, per un verso, e identità e partecipazione, per l’altro.