Umanità e intelligenza artificiale: un dialogo teologico sotto il cielo di Palermo

Se deleghiamo alle macchine ciò che ci rende unici, cosa rimane della nostra dignità? E cosa significa essere umani nell'era dell'intelligenza artificiale? Un confronto inatteso tra un credente e un non credente.

Era una calda serata estiva a Palermo, la città illuminata dalla luce dorata del tramonto, quando mi trovai per l’ultima volta con un caro amico, un dichiarato non credente, prima della sua partenza. Sotto un cielo trapunto di stelle, iniziò una conversazione che avrebbe scosso le fondamenta della nostra comprensione dell’umanità e del divino. Il tema? La valorizzazione dell’umano nella teologia cristiana e il sorprendente ruolo dell’intelligenza artificiale (IA).

“Nella storia della teologia cristiana,” cominciai, “ci si è sempre impegnati a valorizzare l’umano, a riconoscere in ogni persona l’immagine e somiglianza di Dio (Gen 1,27). Ma non è ironico,” chiesi al mio amico, “che oggi sembra che anche l’IA sostenga ciò che è umano?”

Il mio amico sorrise, sorseggiando il suo bicchiere di vino bianco. “Forse,” rispose, “ma questa valorizzazione dell’umano tramite l’IA non rischia di svuotare l’essenza stessa dell’umanità? Se deleghiamo alle macchine ciò che ci rende unici, cosa rimane della nostra dignità?”

Questa provocazione aprì una discussione che andava ben oltre la semplice dicotomia tra fede e tecnologia. La teologia cristiana, con il suo profondo impegno nella valorizzazione dell’umano, ha sempre visto l’essere umano come un’entità unica, dotata di ragione, volontà e spirito. La dignità dell’essere umano, radicata nella sua creazione divina, implica una vocazione alla santità e alla partecipazione attiva nella creazione.

“Ma considera questo,” risposi, “l’IA, nelle sue applicazioni più avanzate, è progettata per migliorare la nostra vita, dalla medicina alla comunicazione. Non sta forse, in modo indiretto, sostenendo e valorizzando ciò che è umano?”

Il mio amico alzò un sopracciglio, pensieroso. “Forse l’IA può migliorare aspetti della nostra esistenza,” ammise, “ma non dobbiamo dimenticare che è una nostra creazione. Non ha coscienza, non ha anima. Può davvero sostituire l’essenza dell’umanità che la teologia cristiana cerca di elevare?”

Questo punto era cruciale. La teologia cristiana ci insegna che l’essere umano non è solo un insieme di cellule e sinapsi, ma un essere dotato di un’anima immortale e di una connessione unica con il divino. L’IA, per quanto avanzata, manca di questa dimensione spirituale.

“Tuttavia,” continuai, “l’IA potrebbe costringerci a riscoprire e rivalutare ciò che significa essere umani. Se riusciamo a creare macchine che imitano aspetti della nostra intelligenza, dobbiamo chiederci cosa davvero ci distingue. Forse, in questo confronto, possiamo riscoprire la profondità della nostra dignità e della nostra vocazione.”

Il mio amico rifletté per un momento. “Può darsi,” disse lentamente. “Forse l’IA può servirci da specchio, mostrando non solo la nostra intelligenza, ma anche i nostri limiti e fallimenti. In questo, potrebbe insegnarci l’umiltà.”

La notte avanzava, e il nostro dialogo si addentrava sempre più nei meandri della filosofia e della teologia. L’IA, pur essendo una creazione umana, ci spinge a riflettere sulle questioni fondamentali della nostra esistenza. La valorizzazione dell’umano nella teologia cristiana non è solo un riconoscimento della nostra intelligenza e delle nostre capacità, ma una chiamata a vivere in comunione con Dio e con gli altri, a perseguire la verità, la bellezza e la bontà.

“Se l’IA può emulare aspetti della nostra intelligenza,” dissi, “forse è un invito a riscoprire la nostra essenza spirituale. La vera sfida non è tanto nelle capacità tecniche dell’IA, ma nella nostra capacità di rimanere fedeli alla nostra vocazione umana e divina.”

Il mio amico annuì. “Forse, in fondo, l’IA può aiutarci a riflettere più profondamente su cosa significhi essere umani. Ma non dobbiamo mai dimenticare che la nostra dignità deriva dalla nostra connessione con il divino, non dalle macchine che creiamo.”

Con il mare che rifletteva la luce delle stelle, ci rendemmo conto che il vero dialogo tra teologia e tecnologia è appena iniziato. L’IA, con tutte le sue potenzialità e i suoi pericoli, ci invita a una rinnovata comprensione della nostra umanità. In questo dialogo, possiamo riscoprire la bellezza dell’essere creati a immagine di Dio e trovare nuovi modi per valorizzare ciò che è autenticamente nostro.

Sotto il cielo di Palermo, mentre il mio amico si preparava a partire, ci salutammo con una consapevolezza rinnovata. La sfida della nostra epoca non è solo tecnica o intellettuale, ma profondamente spirituale. E forse, proprio attraverso questo confronto con l’IA, possiamo riscoprire la nostra vera vocazione: essere riflessi viventi della bellezza e della dignità divina.

 

Simone Billeci (Palermo, 21 aprile 1984) ha conseguito il Dottorato in Teologia dogmatica (2018), la Laurea magistrale in Filosofia (2021), la Laurea magistrale in Scienze Pedagogiche (2023) e la Specializzazione per le attività di sostegno didattico agli alunni con disabilità (2024).

Nel 2018 ha conseguito il Diploma Master peracti in Studiis de Doctrina et Spiritualitate J. Ratzinger e nel 2024 il Master di I livello in Metodologie didattiche per l’integrazione degli alunni con disturbi specifici di apprendimento (DSA).

Dal 2022 è Socio Straordinario della Società Italiana per la Ricerca Teologica e dal 2024 è Socio della Fondazione MAiC onlus di Pistoia.

Dal 2022 insegna religione cattolica presso la diocesi di Pistoia, presso cui altresì collabora con la Scuola di formazione teologica diocesana e con il settimanale “La Vita”.