Un bilancio del berlusconismo andando alla radice del fenomeno politico

In questi anni è venuto meno il riferimento al bene comune o alla solidarietà sociale come fine dell’azione politica. Il lascito del berlusconismo è un Paese più vuoto di etica pubblica.

Al di là delle motivazioni che lo spinsero a entrare in politica, la discesa in campo di Berlusconi rappresentò un momento straordinariamente importante perché impedì la vittoria di una sinistra ancora immatura e inadatta a governare (emblematicamente raffigurata dalla inconsistente leadership di Occhetto) e perché si presentò come l’avvio di un processo riformista (si parlò retoricamente addirittura di rivoluzione liberale). Da quel momento la politica è cambiata radicalmente grazie soprattutto alla forza dello strumento televisivo utilizzato con grande disinvoltura e spregiudicatezza e grazie alla immensa ricchezza personale che ha drogato la competizione elettorale (in un palese conflitto di interessi che mai nessuno è riuscito a risolvere). 

Ma il berlusconismo è stato molto di più. 

Si è parlato di inizio del populismo o, forse meglio, direi di precursore del populismo (cavalcato successivamente dai suoi epigoni) lanciando l’idea di un dialogo diretto e senza intermediazioni partitiche col popolo. La stessa Forza Italia non è mai stata un vero partito nel senso novecentesco del termine, ma un contenitore elettorale al servizio del capo da assecondare anche nelle vicende più spericolate e discutibili sul piano etico. 

Ma non è questo il vero cuore del fenomeno. 

L’essenza del berlusconismo è stata la subordinazione della politica agli interessi personali, il venir meno di un riferimento ad un bene comune o a una solidarietà sociale come fine dell’azione politica, la considerazione della politica non come arte nobile ma come un teatrino e un inutile perditempo rispetto alla capacità del fare, propria dell’economia (con l’esaltazione dell’imprenditore e dell’homo economicus che agisce per mero egoismo, per mero tornaconto materiale e che vede, per esempio, nella solidarietà fiscale un intralcio, oggi si parla anche di pizzo…

Da qui le contraddizioni, le ipocrisie, le aporie che hanno caratterizzato il suo cammino. 

L’incapacità di cogliere che solo valorizzando la politica come modalità essenziale della coesistenza umana finalizzata al bene comune e come unico strumento per comprendere e guidare le trasformazioni sociali ed economiche, si possa avviare una vera stagione di riforme.  Da qui le intuizioni rimaste tali, i programmi mai realizzati, le occasioni mancate nonostante alcune buone intenzioni soprattutto in campo internazionale, la difficoltà a dare vita a una classe dirigente all’altezza dei tempi e delle ambizioni del leader. Il lascito del berlusconismo, al di là delle intenzioni del suo iniziatore, è un Paese più chiuso, più egoista, più vuoto di etica pubblica che, non a caso,  ha aperto le porte del governo alle forze più reazionarie e conservatrici risolvendosi in un paradossale fallimento.