Lucio D’Ubaldo, come di consueto, ragiona politicamente. Almeno così si diceva un tempo, nel  novecento, quando si era abituati alla politica come una dimensione di riflessione, di  ragionamento, di approfondimento e di studio. Oltrechè di azione, come ovvio e scontato. Ma  l’azione seguiva la riflessione e non la anticipava. Nel contesto politico contemporaneo, purtroppo  ancora caratterizzato dal populismo – i 5 stelle al Governo ne sono una testimonianza quotidiana –  e dal trasformismo parlamentare, la riflessione politica è semplicemente bandita alla radice e  relegata ad una dimensione puramente testimoniale. E quindi del tutto marginale e periferica.  

Non stupisce, pertanto, che una recente riflessione di Lucio D’Ubaldo sul cosiddetto “centro  extraparlamentare” sia destinata a non incidere granché nelle attuali dinamiche politiche di potere.  Siano esse di maggioranza o di opposizione poco importa. Quello che, però, non può essere  sottovalutato è che, per entrare nel merito, una “politica di centro” oggi può attecchire  giustamente solo se decolla al di fuori del recinto parlamentare e della cinta daziaria dell’attuale  sistema dei partiti. O di ciò che resta di loro. Perché un fatto è indubbio. E cioè, cresce la  richiesta, e la domanda, di una vera “politica di centro” e di una “posizione di centro” nello  scenario pubblico italiano. Una domanda e una richiesta che vanno oltre alle suggestioni. E  questo non solo perché il populismo è meno forte di prima – anche se continua ancora a  caratterizzare, purtroppo, larghi settori della politica contemporanea tanto di maggioranza quanto  di opposizione – ma perché in un clima deliberatamente trasformistico, la radicalizzazione dello  scontro politico non è più tollerato. In altri termini, non è più credibile. Ecco perché cresce in  modo esponenziale, in larghi settori della pubblica opinione, una domanda di “centro”. Che non  va ancora confuso con un “partito di centro”, ma poco ci manca.  

Su questo versante D’Ubaldo non si è spinto oltre. Si è limitato ad intravederne le caratteristiche, i  lineamenti e il potenziale progetto politico. Appunto, si è fermato a registrare una domanda  “extraparlamentare”. Rispetto, cioè, alle attuali dinamiche politico e parlamentari. Ma l’esperienza  storica insegna che quando c’è una domanda, di norma, prima o poi arriva una risposta. Non solo  testimoniale e virtuale come è accaduto sino ad oggi, e anche recentemente, con bandierine  piantate quasi all’insaputa dei proponenti. Ma con un progetto serio, concreto e su cui è possibile  fare un investimento perchè richiesto da un settore specifico della società.  

Ma questo sarà possibile ad una sola condizione, ed è la mia riflessione conclusiva. E cioè solo se  l’attuale geografia politica italiana sarà profondamente rimescolata. Ovviamente tra le forze e nei  soggetti che respingono la deriva populista da un lato e la radicalizzazione dello scontro politico  dall’altro. All’interno di questo quadro il filone cattolico popolare e sociale potrà giocare, con altri,  un ruolo determinante per dar vita a questo soggetto politico riformista, democratico e  autenticamente competitivo. Il tempo della virtualità e dell’astrattezza, anche per quest’area  culturale, forse è giunto al capolinea. E la suggestione del “centro extraparlamentare” non va fatta  assolutamente cadere…