Dopo 35 anni da quel 27 marzo 1985, giorno di barbarie e di tragedia per Carol e Luca, per gli amici, per il mondo del lavoro, per il sindacato, per la democrazia, che cosa resta della lezione economica, del progetto politico, della testimonianza etica ed esistenziale di Ezio Tarantelli? Resta moltissimo. Un patrimonio creativo di grande ricchezza che il tempo, lungi dal consegnare agli archivi della storia, continua a rinnovare.
Resta la fecondità dell’incontro, complesso, fatto di convergenze, di rotture, di ricomposizioni fra le tradizioni del sindacalismo confederale italiano ed il riformismo di uno degli economisti più brillantini ed innovativi del suo tempo, capace di andare oltre la strumentazione keynesiana per pensare un modello di sviluppo socialmente sostenibile fondato su una razionalità economica così rigorosa da renderlo concretamente realizzabile, gestibile e vincente.
Quando Tarantelli propone la sua strategia di politica dei redditi per governare ed abbattere d’anticipo le attese di inflazione, guadagnare margini competitivi, tornare alla crescita occupazionale e reddituale per i lavoratori, deve convincere il sindacato più orientato al conflitto, la Confindustria restia ad abbandonare l’esclusività delle prerogative imprenditoriali, i Governi insensibili allo scambio politico ed ancor più ad un sindacato che concorre a definire ed a gestire le scelte di politica economica. È in questa triplice, temeraria quadratura del cerchio che risiede il senso più profondo della sua visione della democrazia partecipativa come condizione istituzionale di un modello di crescita socialmente sostenibile.
La storia lo risarcirà, poiché la stagione concertativa degli anni novanta, l’unità ed il ruolo decisivo di GGIL, CISL, UIL nel passaggio all’euro avvengono sotto il segno di Tarantelli.
Resta il rigore e la bellezza di un pensiero critico, autocritico, aperto nella costante, infinita, ricerca del superamento delle sue certezze e dei suoi temporanei approdi. Ed un gusto, un illuministico entusiasmo, uno stile socratico di insegnamento che non fu da meno.
Resta quell’indagine senza eguali sul ruolo economico del sindacato, l’indugio sistematico sulle scuole di pensiero storico ed economico, la stilizzazione puntigliosa dei paradigmi (da Marx a Keynes, al marginalismo, al monetarismo, al post keynesismo sino al “ruolo del sindacato in un modello alternativo (non keynesiano) di distribuzione del reddito”) una vera e propria rivelazione per noi, giovani, selvaggi animali da tavoli negoziali che potevamo vantare la certificazione e la valorizzazione accademica del nostro ruolo sociale! Pur con quella sintassi tipica di Tarantelli che, con una principale, tre secondarie, due parentesi ed il verbo finale, alla latina, ci costringeva a rileggerla e scomporla con deferente impegno!
Resta l’audacia intellettuale della dissacrazione dei postulati ideologici delle teorie economiche dominanti, la dimostrazione di un’alternativa possibile e vincente di sviluppo sostenibile alla dogmatica monetarista, alle sue politiche deflative, alla sofferenza sociale che ribaltavano sui lavoratori.
Resta la nitida coscienza, maturata negli ultimi anni, della necessità di ripensare la politica dei redditi su scala europea e la sua ultima proposta di un “ECU dei disoccupati” in un’Europa che ne contava più di quindici milioni.
Resta il suo sprone perentorio al sindacato affinché si dotasse di un sapere economico e di una cultura adeguata al ruolo che rivendicava nelle relazioni industriali partecipative e nelle sedi della politica economica. Centri di ricerca e di elaborazione a supporto delle strategie, scuole di formazione per innestare sulle radici e sullo slancio della militanza saperi, profili, abilità professionali.
Con queste motivazioni nacque l’Isel- Cisl, l’Istituto di studi di economia e del lavoro, di cui Tarantelli fu direttore.
Con le medesime motivazioni è nata ed è cresciuta la Fondazione Tarantelli che concentra i compiti di ricerca e di formazione per la Cisl, con i suoi Barometri, nazionale e regionali, analisi congiunturali impostate sul modello del Benessere Equo e Sostenibile (BES); con la sua attenzione al rigore econometrico, caro a Tarantelli; i suoi periodici Working Papers; la sua copiosa produzione di ricerche sistematiche, saggi, articoli, indagini su tutto l’orizzonte del sapere sindacale dal diritto del lavoro, al mercato del lavoro, alle articolazioni del welfare, alla contrattazione, alle crisi, alla salute e sicurezza, alla bilateralità, alla comunicazione, alla pedagogia ed alla didattica.
Col suo Centro Studi di Firenze che accoglie ogni anno, nei suoi corsi di formazione, seminari, progetti, migliaia di sindacalisti, docenti, formatori, sia italiani, sia europei. Con le sue Borse di studio per mantenere un rapporto vivo e fecondo con i giovani laureati, dottorati, ricercatori.
Fare i conti in un grande lascito non è impresa facile. Bisogna evitarne la santificazione dogmatica, come se quel tempo fosse il nostro, e la condanna alla determinazione storica, come se dal quel tempo non potesse uscire.
Di un grande lascito restano i valori, i principi, i metodi, le vicende, che bisogna saper ripensare creativamente nel proprio tempo. In questo senso è necessaria una conservazione creativa.
Per queste semplici, brevi, autentiche ragioni il lascito di Ezio Tarantelli continua a parlarci con profonda pertinenza anche oggi.
In un tempo turbolento ed anarchico che pretende di governare dinamiche globali, dalle crisi economiche, ai flussi migratori, ai dissesti ambientali, alle pandemie con gli strumenti impotenti degli Stati nazionali, la sua lezione di un governo sovranazionale, partecipato dalle grandi rappresentanze sociali, capace di produrre sintesi di sviluppo economico e di giustizia sociale, è più attuale che mai.
È una grande consolazione per chi lo ha amato, ammirato, stimato, frequentato, studiato. È l’unica traccia di eternità terrena riservata agli umani!