La democrazia italiana attraversa una fase di pericolosa fragilità. Indicatori chiari, come la disaffezione al voto (astensionismo, schede bianche e nulle) testimoniano un progressivo distacco dei cittadini. Sono segnali che non possono essere sottovalutati, pena l’assuefazione collettiva all’impoverimento della politica.
In questo contesto, il fiume carsico dell’azione civica fatica a trovare uno sbocco soddisfacente. La democrazia rappresentativa sembra vivere una contraddizione profonda: da un lato, chiede ai cittadini di essere protagonisti; dall’altro, non offre loro strumenti adeguati per indirizzare e controllare le decisioni.
Grave è l’involuzione dei partiti, sempre più organizzati intorno a un leader solitario. È una logica che non prevede la trasformazione delle regole del gioco, bensì lo sfruttamento di ciò che queste regole producono, senza preoccuparsi del degrado. Non importa, allora, se avanza una sorta di “inverno democratico”, l’interesse è tutto concentrato sulla capacità di guadagnare consenso all’interno del sistema, con buona pace per l’allarme a riguardo della crescente defezione degli elettori.
Questa dinamica ha portato molti a ritenere insostenibile qualsiasi progetto di ricomposizione dell’area cattolico democratica. Si è diffusa l’idea che non abbia spazio, data la sua vocazione alla ricerca dell’equilibrio necessario a favorire lo sviluppo. Non lo ha in un panorama dominato da un bipolarismo sempre più radicalizzato, in cui le scelte si riducono a una forzata alternativa tra destra e sinistra. Tuttavia, questa lettura è miope e non tiene conto di una realtà più complessa.
Molti cittadini avvertono un senso di estraneità tanto nei confronti della destra, spesso percepita come troppo aggressiva e radicale, quanto della sinistra, ritenuta incapace di proporre soluzioni concrete ai problemi della vita. Ed ecco che il vuoto genera disillusione e con essa, appunto, astensionismo.
Non è quindi né infecondo né sbagliato immaginare un progetto politico che si fondi su valori chiari: il rispetto della persona, la responsabilità individuale, la solidarietà sociale, nonché una visione del futuro che punti soprattutto al bene comune, oltre le formule cristallizzate degli schieramenti. Oltre, cioè, il tifo delle curve. Un progetto che muova dal “centro” della società e spinga, nell’orizzonte del bene comune, verso una coerente “politica di centro”; che sappia unire competenza, pragmatismo e apertura al dialogo, qualificando il quadro delle alleanze; e che offra, insomma, un’alternativa credibile a chi oggi si sente orfano di rappresentanza.
Dunque, il centro non è uno spazio da occupare ma una politica da promuovere. È un bisogno, una risposta alla frammentazione e al disorientamento che minano le fondamenta della struttura democratica della società. Ed è su questo bisogno che dobbiamo lavorare, con coraggio e lungimiranza.