Egregio Direttore,
prendo spunto dal vostro articolo e condivido quanto da voi scritto, sottolineando che c’è un momento, nella storia di ogni organizzazione, in cui non avviene una sconfitta rumorosa, ma un’eclissi silenziosa.
La Cisl, nella sua interezza – categorie incluse – non è stata abbattuta da un nemico esterno: si è oscurata da sola, quando la sua classe dirigente ha smesso di stare in piedi e ha iniziato a stare comoda.
L’eclissi sindacale non arriva all’improvviso. Inizia quando il conflitto viene considerato sconveniente, quando la denuncia diventa imbarazzo, quando il linguaggio dei lavoratori viene sostituito da quello dei corridoi.
La classe dirigente, invece di essere coscienza critica, ha scelto di essere cinghia di trasmissione.
Ha parlato di responsabilità mentre praticava la rinuncia. Ha invocato unità per coprire il vuoto di coraggio. Ha scambiato la prudenza con la paura di perdere posizione. Così il sindacato ha smesso di fare ombra al potere
e ha iniziato a cercarne il riflesso.
Nell’eclissi, i lavoratori non scompaiono. Sono loro a restare esposti, senza protezione, mentre chi dovrebbe rappresentarli si mimetizza nel grigio istituzionale. Un sindacato che non disturba più nessuno non è maturo: è spento.
Una classe dirigente che non paga prezzi non è saggia: è già fuori dalla storia. Ogni eclissi, però, è anche una prova.
Perché la luce non muore: aspetta. Ma tornerà solo se qualcuno avrà il coraggio di rompere il silenzio, di chiamare le cose con il loro nome e di ricordare che il sindacato nasce per stare dalla parte sbagliata del tavolo, non per arredarlo.

