“Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”.
Sono partito con la famosa frase di Aldo Moro, grande Statista, pronunciata più di quaranta anni fa.
Un forte appello, perché avvertiva il peso di un clima politico particolarmente infuocato: brigate rosse e attentati fascisti; il Paese attraversava un crocevia pericolosissimo, del resto lo stesso Moro ne fu vittima, anzi la vera vittima di quella infausta stagione politica nazionale.
Nella sua frase domina la parte terminale, quella richiesta di “un nuovo senso del dovere” perché era del tutto evidente la carenza di questa espressione civile e politica che lo stesso Moro stava constatando.
La morte di Aldo Moro segnò un cambio di rotta. l’Italia per i successivi dieci anni visse un’altra pagina. Purtroppo fu una pagina votata alla spensieratezza e alla leggerezza, quindi dimentica della richiesta dello Statista pugliese.
Gli anni ottanta sono stati consumati all’insegna della “Milano da bere”, dell’aumento vertiginoso del debito pubblico, del riflusso polittico e della sostanziale spensieratezza che sembrava gonfiare le vele a chi, uscito dai tremendi anni di piombo, pensava di navigare in totale leggerezza.
I nodi di quel “fausto” si sono presentati all’inizio degli anni ’90, non serve che io riepiloghi le défaillance di quel terremoto che colpì gran parte della classe politica di allora.
Della frase di Aldo Moro, nessun segno.
Gli anni ’90 hanno visto la dialettica tra le schiere capeggiate da una inedita e, fino allora, impensabile figura che, alla vista di questi ultimi quasi trent’anni, è rimasta gagliarda a organizzare lo schieramento di centro destra. Si trattava di Silvio Berlusconi.
La dialettica con l’imprenditore milanese fu assegnata a diversi autori del centro sinistra: Prodi, D’Alema, Veltroni, Rutelli, via via fino a Renzi; una dialettica che ha visto prevalere e un polo e l’altro senza mai decretare un dominio integrale da parte di uno dei due schieramenti.
Sottolineo, ancora una volta, la dimenticanza dell’appello di Aldo Moro.
Ora, la stagione che stiamo vivendo sembra appesantirsi per la presenza di costumi politici che mai avrei pensato ritornassero: è di questi giorni, così almeno molti commentatori scrivono, lo sdoganamento del pensiero fascista da parte del vice primo Ministro.
Con una sinistra a vele quasi ammainate; un Movimento 5 Stelle ondìvago e senza mai una linea che si mantenga retta e coerente. In tutto questo richiama ancora quell’esortazione che Aldo Moro rivolgeva all’intero Paese.
Se lo Statista assassinato il 9 maggio del 1978 fosse tra noi, piangerebbe per due motivi: primo, perché vedrebbe l’inutilità del sacrificio di molti italiani che dagli anni quaranta avevano sollevato le sorti democratiche, economiche e culturali del nostro Paese; e, secondo, piangerebbe perché riconoscerebbe anche svilita la sua prematura morte da questi miserrimi risultati che il Paese si trova a dover manifestare.
Ritornare ad Aldo Moro dovrebbe, prima di tutto per me, ma sono convinto per tutti, farci riscoprire l’importanza e la profondità dell’operare politico di noi tutti.
Ci auguriamo, pertanto, che da questa attuale tristezza qualcuno sappia ritornare a quella frase che, per la sua prima parte, è anche un monito potente per noi tutti. Non vorremmo mai che, dimentichi della conclusione, si attui ciò che Aldo Moro iniziava con quello scritto.