Difficile giustificare stavolta il Governo sulla questione delle Messe.

Personalmente ho condiviso e sostenuto anche pubblicamente la decisione di sospendere la partecipazione fisica dei fedeli alle celebrazioni liturgiche nella fase del completo lockdown.

I cattolici sono cittadini come gli altri e dunque hanno il dovere di rispettare le leggi civili che le autorità pubbliche mettono in campo per la tutela della salute.

L’esigenze del culto e della condivisione liturgica è essenziale per l’esperienza cristiana, ma in circostanze particolari essa può e deve essere raccordata con le oggettive necessità di difesa della vita stessa dei fedeli e con quelle della sicurezza della comunità.

La Conferenza Episcopale ha assunto fin dall’inizio una posizione di grande responsabilità e di meritorio equilibrio – benché sollecitata da spinte interne ed esterne, talune sincere, talune strumentali, di tenore assai diverso ed accettato questa limitazione.

Durante la fase uno del lockdown i cattolici italiani hanno potuto contare sulla straordinaria testimonianza di Papa Francesco (che con le preghiere solitarie in San Pietro ha trasmesso un senso inedito del rito liturgico (pur se attraverso i mezzi di comunicazione) e sull’invito di Gesù di cui a Matteo,6 (“…tu quando preghi entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”)

Le polemiche da parte cattolica nella fase del lockdown, a mio parere, non erano fondate.

Lo sono invece molto adesso, dopo l’inaudita decisione del Governo di non considerare le cerimonie del culto (non solo cattoliche) come meritorie di considerazione nell’avvio della fase due, che coinvolge (seppur confusamente) tante altre attività di interesse collettivo.

Significa forse, come sostiene Andrea Riccardi, che lo Stato non considera il culto come un servizio essenziale per la comunità? Sarebbe inaudito, sopratutto in una fase storica nella quale molti pensatori anche di matrice laica parlano di una società assetata di senso “religioso”.

Oltretutto, la Cei – accettando le limitazioni della prima fase – aveva avviato subito un dialogo con lo Stato per definire protocolli di sicurezza sanitaria utili per la ripresa delle attività.

Ora il Governo apre la fase due (o uno e mezzo, come qualcuno ha scritto) ma non considera la questione delle cerimonie liturgiche; se non i funerali, peraltro con limitazioni irragionevoli (15 parenti al massimo, a prescindere dalle condizioni fisiche e dal rispetto delle misure di distanziamento sociale).

La posizione del Governo è irragionevole sul piano tecnico (perché le condizioni di sicurezza per la fase due dovrebbero essere valide per molte altre attività e non per le cerimonie liturgiche?); irriguardosa verso l’atteggiamento costruttivo della stessa Cei; incoerente sul piano costituzionale; gravemente autolesionista sul piano politico.

Non credo a congetture anti cattoliche o anti religiose. Credo piuttosto al fatto che si è in presenza di un Governo che fatica a tenere in mano la situazione del Paese e a fare sintesi tra le esigenze e le posizioni in una fase oggettivamente inedita e drammatica.

Urge comunque una correzione immediata.