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martedì, 23 Dicembre, 2025
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USA, partita interna ai repubblicani e l’orizzonte del 2028

Le tensioni nel mondo MAGA, le correnti del Partito repubblicano e il ruolo ancora decisivo di Donald Trump anticipano uno scontro politico che segnerà la successione alla Casa Bianca.

Le prime crepe nel mondo MAGA

Qualche giorno fa, su queste colonne, Alessio Ditta ha illustrato molto bene la crescente perplessità, ormai percepibile, sorta nel movimento MAGA nei confronti di Donald Trump. La vicenda obliqua ruotante intorno agli Epstein files ne è la visibile dimostrazione e le clamorose dimissioni dal Congresso della pasionaria dell’ultradestra Marjorie Taylor Greene ne sono una significativa testimonianza. Il sostegno a Vance dichiarato con così tanto anticipo dal gruppo cristiano integralista Turning Point, attraverso la voce della vedova Kirk, ne è un’ulteriore conferma.

Il tempo politico corre più veloce del mandato

Ma c’è di più. Anche se – con tutto lo sconcerto che ha creato nel mondo occidentale – la presidenza è giunta alla conclusione solo del primo anno e dunque ne rimangono altri tre, si stanno mettendo in moto i meccanismi che verranno attivati ben prima della scadenza del mandato, in vista della campagna elettorale del 2028. Probabilmente già fra un anno, dopo le votazioni di midterm del prossimo novembre.

Le tre correnti del Partito repubblicano

Da qui ad allora rimarranno in campo nel Partito Repubblicano le tre “correnti” delle quali ha scritto Gideon Rachman sul Financial Times qualche settimana fa, riprendendo uno studio svolto da Majda Ruge e Jeremy Shapiro per conto dello European Council of Foreign Relations (l’articolo è stato pubblicato, tradotto in italiano, su Internazionale dello scorso 7 novembre): i Restrainers (i Moderatori), i Prioritisers (i Pragmatici), i Primacists (i Primatisti).

Trump e le correnti: un rapporto instabile

Queste tre correnti si confrontano quotidianamente con le scelte e con le sortite di Trump, cercando di influenzarlo, se non di guidarlo, badando però a non irritarlo, dato il carattere fumantino e vendicativo del personaggio; il quale, da parte sua, si tiene alla larga da ogni fazione, in quanto l’unica che conosce e che asseconda è la sua: nel senso del suo interesse personale, al massimo allargato a quelli della sua famiglia.

Il nodo della successione e linteresse democratico

Analizzare e seguire nel prossimo futuro le mosse delle correnti – queste ed eventualmente altre, se dovessero sorgerne di nuove – sarà essenziale per comprendere quale sarà il prossimo candidato alla presidenza. Un esercizio che si rivelerebbe molto utile per il Partito Democratico, ben consapevole di non poter perdere la partita del 2028, pena una crisi che, da grave quale è oggi, potrebbe trasformarsi in drammatica.

Vance e Rubio: due visioni del nazionalismo americano

Perché è evidente che temi e personalità da contrapporre a JD Vance e Marco Rubio sono diversi. E tutto lascia credere che lo scontro in casa repubblicana – già oggi visibile a occhio nudo – sarà fra il vicepresidente e il segretario di Stato. Ambedue giovani, ambedue ambiziosi, ambedue molto conservatori, ma interpreti di due visioni diverse del neo-radicalismo nazionalista americano.

I Moderatori” e il primato della prudenza

L’autorevole commentatore britannico, uno dei giornalisti più quotati del panorama internazionale, assegna Vance al gruppo dei Moderatori (ma forse il termine inglese restrainers viene reso meglio con un vocabolo meno elegante ma più descrittivo, quello di “trattenitori”): essi “pensano che gli Stati Uniti dovrebbero usare in modo prudente il loro potere globale e nutrono una profonda diffidenza nei confronti degli alleati europei e asiatici perché temono che possano trascinare il Paese in nuove guerre”. Esattamente ciò che sta vedendo all’opera l’Europa e quello che sta divenendo l’incubo di Taiwan.

Rubio e il ritorno alla leadership globale

Marco Rubio interpreta invece una parte assai più tradizionale del ruolo USA nel mondo, sia nel ritenere l’America Latina il proprio “cortile di casa” sia nel considerare ancora importante l’Alleanza Atlantica. È associato pertanto ai Primatisti, fedeli all’idea che gli Stati Uniti continuino a ricoprire “il loro tradizionale ruolo di superpotenza mondiale, garantendo la sicurezza globale” ovunque – inclusa l’Europa, e questo ne fa il candidato preferito, fra quelli repubblicani, a Bruxelles.

I Pragmatici e il dossier Cina

La terza corrente, quella dei Pragmatici, non ha al momento un esponente di punta in grado di competere con gli altri due ed è forse quella che ha ottenuto di meno sino ad ora. Convinta che “gli Stati Uniti non hanno più le risorse per ricoprire il ruolo di gendarme del mondo”, opta per concentrare gli sforzi nelle “azioni di contenimento nei confronti della Cina in Asia”. I tentativi di Trump di costruire una buona relazione con Xi Jinping sono pertanto visti con forte preoccupazione, dati i precedenti osservati nel rapporto con Putin.

Lincognita Trump

Per tutti, in ogni caso, vale però l’imprevedibilità caratteriale di Trump. Il suo seguire il proprio istinto, i propri interessi, senza leggere – non si dice studiare – i dossier e senza ascoltare più di tanto i consigli, interessati o meno che siano. Trump, inoltre, è il Presidente e lo sarà ancora a lungo. Ama essere lusingato, detesta venire contraddetto: la partita per il “dopo” non potrà prescindere da questi dati di fatto. Forse l’endorsement della signora Kirk è arrivato troppo presto.