Tutti sappiamo che i partiti, purtroppo, sono diventati o dei cartelli elettorali oppure, e ancora peggio, semplici strumenti nelle mani di una sola persona. Partiti come, ad esempio, Italia viva o la Lega di Salvini o i populisti dei 5 stelle, non sono nient’altro che giocattoli a disposizione del proprio capo. Mentre sul fronte dei cartelli elettorali c’è una vasta mole di esempi su cui non vale neanche la pena di soffermarsi.
Ipocrisie e contraddizioni
Ora, però, c’è un dato che supera tutti gli altri per l’ipocrisia – o lo squallore, dipende dai punti di vista – che lo circonda. È il cosiddetto “modello campano”. Ovvero parliamo di un partito che tutti i santi giorni predica ed impartisce lezioni a chicchessia sul rispetto della democrazia, sulla trasparenza, sulla devozione ai principi e ai valori della Costituzione e, al contempo, insulta a destra e a manca tutti coloro che secondo loro violerebbero le basilari regole democratiche.
Ma il “modello campano” insegna che non solo quel partito, il Pd, viola persin platealmente le basilari regole democratiche che dovrebbero presiedere anche un partito personale o un cartello elettorale ma, addirittura, si pretende che proprio quel modello sia di esempio per tanti.
Un partito nelle mani dei “cacicchi”
Dunque, per ricapitolare, si tratta di un modello che prevede il ruolo determinante di un “cacicco” o di un “sultano” che decide senza appello chi deve guidare il suo partito in quel territorio; che la successione dinastica non è affatto incompatibile con la selezione democratica del personale dirigente di un partito; che quel modello specifico non può essere messo in discussione da chicchessia a livello nazionale; che un iscritto ad un partito, sempre il Pd come ovvio, può tranquillamente organizzare e promuovere liste concorrenti e competitive con il Pd stesso in barba a qualsiasi regola statutaria che impedisce e addirittura sanziona con la sospensione dal partito quel gesto; e, dulcis in fundo, che tutte le prediche sulle primarie, la selezione democratica della classe dirigente e simili corbellerie sono e restano semplici invocazioni ad uso e consumo dei “gonzi” che devono ripetere la favola che “siamo il partito della partecipazione democratica e della trasparenza” contro tutti coloro che la democrazia la negano alla radice e che lavorano, come ovvio e scontato, anche per un “regime illiberale, dispotico e profondamente antidemocratico”.
Silenzio, sarebbe meglio
È del tutto evidente che non sappiamo se il “modello campano” del Pd sarà esteso a tutta Italia o se si limita ad alcune regioni. Lo vedremo. Quello, però, che non possiamo non rilevare – al di là della piena libertà del Pd di fare e disfare tutto ciò che vuole senza alcun rispetto dei più elementari principi democratici che dovrebbero caratterizzare la vita interna dei partiti – è che d’ora in poi la Schlein e compagni dovrebbero semplicemente evitare di continuare ad impartire lezioni di democrazia, di trasparenza, di rispetto delle regole democratiche e costituzionali quando si parla di partiti e della loro concreta organizzazione politica nel nostro Paese.
Tutti sappiamo che, storicamente, la sinistra italiana pensa di avere il monopolio del pensiero e della prassi democratica. Non a caso è dal secondo dopoguerra che la filiera Pci/Pds/Ds/Pd denuncia l’imminente pericolo della crisi della democrazia e dell’avvento, altrettanto probabile, di “un regime illiberale, dispotico ed autoritario”.
Ma, per restare ai temi concreti e reali e non a quelli virtuali o fantasiosi, e di fronte alla selezione della classe dirigente del partito della Campania, forse sarebbe il caso che d’ora in poi quando si parla dell’organizzazione democratica dei partiti, il Pd della Schlein praticasse la virtù del silenzio e del rispetto delle altrui esperienze. E questo perché la prassi delle scuse pubbliche o della vergogna non sono articoli o norme contemplati da nessun Statuto o regolamento di partito.