La storia del Venezuela, sin dai tempi successivi all’indipendenza dalla Spagna promossa da Simon Bolivar, è sempre stata caratterizzata dall’affermazione dei cosiddetti “caudillos”, figure militari a cui è stata demandata la gestione del potere e che hanno saldato il “legame tra politica e Forze Armate” (cit. Treccani).
Questa condizione, nonostante i tentativi di affermazione della democrazia durante il XX secolo, si ripropose con la salita al potere di Hugo Chavez nel 1999, un militare nazionalista, che teorizzò una dottrina formalmente ispirata all’ideale panamericano di Simon Bolivar, tanto da far approvare in un referendum popolare una Costituzione che proclamò la Repubblica Bolivariana del Venezuela. Questa ispirazione, comunque contrassegnata da un populismo con forti legami con l’ideologia comunista anche se nella versione propria del Sud America, ha portato il governo venezuelano a chiudere i rapporti con il mondo occidentale e ad intensificare le relazioni con la Cina, la Federazione Russa, la Turchia e l’Iran, oltre che divenire riferimento di una serie di governi centro-sudamericani dagli stessi tratti politico-istituzionali. Il “chavismo” si è poi progressivamente caratterizzato come forma di “autocrazia”, con una pesante riduzione degli spazi di democrazia e di limitazione dei diritti del libero associazionismo e delle opposizioni politiche. Un potere in grado di “adulterare” le stesse consultazioni elettorali, così come certificato dall’impossibilità di intervento degli organismi internazionali di garanzia.
Con la morte di Chavez nel 2013, il suo delfino-successore e attuale Presidente Nicolas Maduro, pur non provenendo dalle Forze Armate (è stato autista di autobus e sindacalista dei trasporti), ha seguito l’impostazione politica tracciata da Chavez, amplificando ulteriormente i tratti autoritari e centralisti del potere.
Nonostante il Venezuela sia un Paese ricco di risorse energetiche fossili (petrolio e gas naturale) sia come produttore che come riserve accertate, gli indirizzi statalisti ed accentratori del “chavismo” hanno segnato anche la politica economica del governo venezuelano, con riflessi negativi sul libero mercato e la libera iniziativa, riducendo notevolmente gli investimenti esteri e amplificando il processo di isolamento, conseguenza del dichiarato contrasto del governo venezuelano con gli USA e il mondo libero. Scelte che hanno ulteriormente penalizzato il Paese a livello internazionale, anche in presenza del programma di sanzioni imposte in particolare dagli Stati Uniti. Gli effetti di questa condizione economica hanno pesantemente amplificato i problemi sociali, generando una grave povertà per milioni di persone, addirittura prive dei beni di prima necessità.
In questo contesto si collocano i rapporti degli ultimi 25 anni tra Stato e Chiesa cattolica venezuelana, rappresentativa di milioni di fedeli, prima e autorevole istituzione religiosa del Paese. Una presenza diffusa sul territorio attraverso diocesi, parrocchie, istituzioni formative ed assistenziali; un punto di riferimento a sostegno delle popolazioni sia dal punto di vista spirituale che dell’assistenza sociale ed educativa. Il regime chavista, pur in presenza di patti concordatari, ha sempre tentato di limitarne l’azione evangelizzatrice e caritatevole, essendo consapevole dell’identificazione di gran parte della popolazione nelle iniziative e nelle posizioni espresse dalla gerarchia e dalla comunità ecclesiastica.
La chiesa cattolica venezuelana, a partire dalla Conferenza Episcopale, in questo lungo periodo di regime, si è fatta più volte carico della dura condizione economica e sociale della popolazione, evidenziando inoltre il palese deficit democratico in corso nel Paese ormai da troppo tempo, entrando spesso in deciso contrasto con le posizioni del governo sia di Chavez sia di Maduro. Allo stesso tempo, in condivisione con la Segreteria di Stato Vaticana e la politica diplomatica di Papa Francesco, le gerarchie locali hanno cercato di favorire mediazione tra il governo e le opposizioni per evitare violenze, in modo particolare nelle fasi più delicate delle crisi istituzionali del 2019 tra Parlamento e governo e in quella recente del luglio scorso, con la contestata (giustamente) rielezione di Maduro, non riconosciuta anche dai Paesi sudamericani tradizionalmente in sintonia con il chavismo: il Presidente brasiliano Lula ha dichiarato qualche giorno fa che “il comportamento di Maduro lascia a desiderare”. La deriva tirannica del regime di Maduro ha poi costretto in questi giorni all’esilio in Spagna, il leader dell’opposizione e “vero vincitore” delle elezioni presidenziali, Edmondo Gonzaléz Urrutia. A questi atti intimidatori mirati a cercare di “chiudere” il dibattito e le attenzioni su una consultazione elettorale falsata, si è aggiunta una vicenda indicativa ed emblematica di un metodo proprio di un regime dai contenuti dittatoriali: la decisione di Maduro di anticipare al primo ottobre i festeggiamenti del Santo Natale. In un intervento televisivo di fine agosto, l’autocrate venezuelano ha dichiarato “Settembre sta arrivando e mi sono detto: è settembre e già profuma di Natale. Ed è per questo che quest’anno in omaggio a voi, in segno di gratitudine nei vostri confronti, decreterò l’anticipo del Natale al 1° ottobre. Il Natale è arrivato per tutti, con pace, felicità e sicurezza”. Un atto strumentale e violento, già utilizzato in precedenti occasioni, teso a distrarre la popolazione dalle vicende politiche; infatti il provvedimento non modifica formalmente la tradizionale data del 25 dicembre, ma ne precorre i festeggiamenti e le iniziative conseguenti: aiuti alla popolazione meno abbiente, anticipazione di ratei della mensilità aggiuntiva per i dipendenti pubblici, tradizionalmente erogata nel mese di dicembre. Di fronte a questo atto che utilizza il Santo Natale come forma di distrazione di massa e indirizzato esclusivamente a fini politici, la Conferenza Episcopale Venezuelana ha reagito con grande determinazione sia sul piano degli aspetti religiosi che sulla situazione politica del Paese: “Il Natale è una festa universale. Il modo e il tempo della sua celebrazione sono di competenza dell’autorità ecclesiastica. Questa festività non deve essere utilizzata per scopi propagandistici o politici particolari”. E ancora: “Il Natale, come tempo liturgico, inizia il 25 dicembre con la nascita di nostro Signore Gesù Cristo e si prolunga fino all’Epifania del Signore nel mese di gennaio.”, “la persecuzione nei confronti di scrutatori, comunicatori sociali e contro il candidato e i leader dell’opposizione, in palese contraddizione con i principi di pluralità politica e di indipendenza dei poteri pubblici garantiti dalla Costituzione e dalle leggi della Repubblica”.
I vescovi venezuelani si pongono pertanto a difesa dei diritti democratici, richiamando il governo di Maduro al rispetto delle persone e dei valori universali delle feste cristiane; insomma, un ruolo fondamentale per una possibile e auspicabile transizione verso l’autodeterminazione del popolo venezuelano e la legalità dei poteri politici.
A fine giugno Papa Francesco ha nominato tre nuovi vescovi in diocesi fondamentali per la vita del paese sudamericano, gli Arcivescovi metropoliti di Caracas, Valencia e Barquisimeto.
Tre personalità forti e di provata esperienza teologica, sociale e pastorale.
Anche a loro sarà demandato il ruolo di individuare una classe dirigente che possa gestire la transizione di un Paese, verso una democrazia compiuta, rispettosa dei diritti fondamentali, della giustizia sociale e del mondo libero.
Un Paese fondamentale negli equilibri delle Americhe ed internazionali; un Paese a cui anche l’Italia, vista la presenza di un’importante comunità di nostri connazionali emigrati, dovrà dedicare impegno ed attenzione.