La netta vittoria di Donald Trump si riverbera inevitabilmente anche a Bruxelles. A poche ore dalla chiusura dei seggi, regnano i dubbi sul futuro delle relazioni con l’altra sponda dell’Atlantico, soprattutto per la volontà dichiarata del neoeletto Presidente Usa di imporre dazi ai prodotti europei e per le incognite su Ucraina, Medioriente e relazioni con la Cina.
Preoccupazioni e incertezze che si rispecchiano anche nelle audizioni dei Commissari designati in corso in questi giorni in Parlamento europeo. In attesa della conferma definitiva del collegio il 27 novembre a Strasburgo, è, tuttavia, possibile evidenziare alcuni elementi. Fermo restando il ruolo forte dei Paesi più grandi, non si può non notare come l’Europa centrorientale sia diventata cruciale. Kaja Kallas, estone, è Alto rappresentante/vicepresidente incaricata di Affari esteri e politica di sicurezza. La vicepresidente finlandese Henna Virkkunen ha la delega a sovranità tecnologica, sicurezza e democrazia, cruciale nella lotta alla disinformazione russa e alle ingerenze straniere nei processi elettorali europei. A loro, si aggiungono il lituano Kubilius, primo commissario europeo alla difesa e spazio, il ceco Sikela, con l’incarico delicato ai partenariati internazionali. Toccherà al polacco Serafin scrivere il prossimo bilancio settennale mentre il lettone Dombrovskis si occuperà di economia e produttività. La Bulgaria conferma la delega alla ricerca, con Ekaterina Spasova: il programma Horizon è, insieme alla politica agricola e alla coesione, la principale voce di investimenti del bilancio Ue, con capitoli dedicati alla ricerca in ambito militare. La slovena Marta Kos ha l’incarico per l’allargamento, con focus su Ucraina e Moldavia, ma anche Montenegro, Albania, Bosnia-Erzegovina, Macedonia del Nord. Insomma, i Paesi dell’ex patto di Varsavia sono protagonisti nel nuovo assetto Ue.
A questo, si aggiunge la task force lanciata da von der Leyen e dal nuovo segretario generale della Nato, Mark Rutte, per rafforzare la cooperazione tra Ue e Alleanza atlantica. La necessità nasce, secondo, Von der Leyen e Rutte dalla guerra russa in Ucraina “la più grande minaccia alla pace e alla sicurezza sul continente”, e dall’intervento della Corea del Nord “una escalation significativa” che evidenzia la “crescente aggressività degli stati autoritari che sfidano i nostri interessi e valori, con strumenti politici, economici, tecnologici e militari”.
Come se non bastasse, sempre nei giorni scorsi, l’ex presidente finlandese Sauli Niinistö ha presentato il report sulla preparazione della difesa della cui stesura Ursula lo aveva incaricato a marzo. La tesi è che va scardinata l’idea per cui gli Stati membri sono gli unici responsabili della propria sicurezza. È necessario, secondo Niinistö, “fidarci l’uno dell’altro”, condividendo risorse e conoscenze. “L’Unione europea deve passare dalla reazione alla preparazione attiva”. L’asticella del bilancio europeo da destinare alla sicurezza è fissata a un decisamente ambizioso 20%. Servono fondi per finanziare una rete europea antisabotaggio in caso di minacce alle sue infrastrutture critiche e un servizio Ue di intelligence. Mentre Draghi aveva chiesto nella sua relazione nuovi strumenti di debito comune, Niinistö non si spinge a proporre “defense-bond”. Non sappiamo, oggi, come questa nuova tendenza andrà ad interagire con il prossimo mandato di Trump e cosa sarà della relazione Ue-Stati Uniti.
Ma tre indizi fanno una prova. Se nel 2019, von der Leyen aveva annunciato una “Commissione geopolitica”, rimasta lettera morta, oggi sembra realizzare un indirizzo diverso senza annunciarlo, in molti casi affidando a esponenti Popolari europei le nuove pesanti deleghe. Troppo presto per dire quale ruolo avrà l’Italia. Certo è che mai come oggi servono competenze e capacità di manovra nuove, nella speranza che, parafrasando l’ultimo brano scritto da Augusto Daolio, l’Unione europea sappia “ad est ritrovare la vita”.