Vince l’ideologia della Schlein, sorge il problema dell’alternativa.

Dobbiamo affrontare la triplice transizione in corso - energetico ambientale, digitale e verso il mondo multipolare - in modo più saggio, realmente democratico e partecipato dai cittadini, oltre l'ideologia della decrescita che imperversa a sinistra.

Comunque vadano le primarie del Pd di domenica prossima, l’ideologia che rappresenta la candidata alla segreteria Elly Schlein, rimarrà vincente. Nel Partito democratico ma soprattutto oltre, nelle sedi decisionali che contano, nel mondo della cultura, nei media. Si tratta di un’ideologia che riflette la visione dei miliardari, di una parte significativa dell’élite economica e finanziaria occidentale e che presenta delle pesanti ricadute dirette (si spera almeno non volute) sulla classe media, sui suoi valori, sul suo tenore di vita; sull’economia di mercato, sullo stesso ordine internazionale. Il capitalismo della sorveglianza, di una sostenibilità concepita solo secondo i criteri di profitto di colossi finanziari come BlackRock, della cosiddetta “cancel culture” delle radici culturali occidentali, del gender, tende più a usare, e a deformare, i problemi in funzione degli interessi di pochi, che a indicare delle soluzioni.

Tale tendenza al capovolgimento dei valori e delle priorità, come metodo, è constatabile dappertutto. La cruciale questione ambientale viene affrontata non solo prescindendo da quella ecologia integrale invocata nella Laudato Si‘ ma addirittura al di fuori di un orizzonte antropocentrico. La questione energetica rischia di assomigliare a un intestardimento su tecnologie inefficienti, insufficienti al fabbisogno e fuori mercato anziché, come come nel resto del mondo non occidentale, essere una sfida positiva tecnologica e capace di stare sul mercato. Nella sfera della famiglia per ossequio alla teoria gender si sta passando da un ovvio, doveroso e costituzionalmente garantito rispetto delle persone, al di là di qualsiasi differenza, a forme di apologia, per non dire a una discriminazione al contrario. E questo metodo tende a estendersi a ogni questione riguardante le scelte decisive per il futuro e per il modello di società.

Se il pluralismo viene bandito, la democrazia ne risente. La partecipazione cala. E al suo posto si afferma un meccanismo di governo in cui le decisioni prese da chi è più forte vengono calate dall’alto. I media si trasformano in strumenti di propaganda in favore di scelte prive di una adeguata legittimazione democratica. E i funzionari, la burocrazia comunitaria e ministeriale, finiscono per rispondere più a chi impartisce le direttive dall’alto che ai politici di turno. I risultati di questo modello di governance li vediamo nel modo in cui deliberatamente viene imposta la decrescita, si persegue un generale arretramento del tenore di vita dei ceti lavoratori e popolari (in ossequio al comandamento di Davos secondo cui in futuro “non possiederai più niente e sarai felice”), brandendo come una clava cause in sé giuste, come quella ambientale e non solo, con effetti devastanti sul tessuto socioeconomico delle nazioni sviluppate senza peraltro conseguire risultati apprezzabili sui problemi che invece sembrano cavalcati come pretesto per attuare ben altri scopi.

Questo vizio di fondo della politica è avvertito ampiamente ormai a livello di massa e genera incredulità, sconcerto, spaesamento, sfiducia fra i ceti che devono sopportare le conseguenze di strategie tendenti a ripristinare distanze e disuguaglianze sociali che si credevano definitivamente superate. E rende più difficile e anche più urgente il compito di riannodare i fili della partecipazione popolare, per affrontare la triplice transizione in corso – energetica, digitale e verso il mondo multipolare – in modo più saggio, realmente democratico e partecipato dai cittadini. Per costruire una proposta culturale e politica diversa da quella della decadenza e della deriva verso nuove forme di intolleranza dell’Occidente, occorre recuperare il senso della misura nell’affrontare i nodi cruciali della nostra epoca. Un equilibrio capace di assegnare il giusto valore a ogni cosa e di costruire proposte di governo facendo una sintesi fra i desideri, o i diktat, delle élites e le reali necessità del popolo.