Morire di ingordigia. Dovremmo chiamare così la fine del nostro Paese per troppo Pnrr. La favola di Fedro della rana dalla bocca larga la conosciamo tutti, ma il suo insegnamento è spesso dimenticato. Ce lo fa ricordare l’articolo-intervista di Bianco sull’Huffington Post tutto dedicato al Pnrr e all’indicibile numero di progetti che abbiamo solo scritto pur di raggiungere la quota massima di euro che ci potevano assegnare come Paese. Nell’intervista al prof. Luciano Monti della Luiss sono i numeri a parlare chiaro. Chissà quale follia dettata dall’ingordigia deve essere passata nella mente dei funzionari di governo nel valutare sconsideratamente che alla corsa “arraffa-arraffa” del Pnrr fosse necessario raggiungere il massimo possibile dello stanziamento, anche se i bisogni erano inferiori e soprattutto le idee progettuali ancora meno.
Quindi, come la rana dalla bocca larga, abbiamo pensato che potevamo prendere 100 miliardi di euro in tre/cinque anni e buttarci dentro 60/70 mila progetti-idee per la ricrescita del Paese da affidare alla burocrazia locale. Primo, noi tanti soldi non li abbiamo mai visti in anni di Repubblica, e nemmeno di Regno. Con il piano Marshall ci siamo andati vicino, ma avevamo più tempo ed effettivamente il territorio era distrutto dalla guerra. Qui siamo indietro per la tecnologia, lo sviluppo delle risorse ambientali, le politiche del lavoro e del welfare, le infrastrutture (aggiungiamo cultura e formazione perché da sempre ci spendiamo poco). Gli altri settori vanno benino, ma vanno. Secondo punto: da quando in qua nel Paese la burocrazia ha maturato un concetto, seppur primordiale, di libertà di azione con poche ma certe regole? Mai direi, se nel tempo ci siamo dovuti inventare un sistema detto di “semplificazione” tanto erano le norme che avevamo prodotto di 150 anni di unità d’Italia. Come abbiamo potuto pensare che il sistema della burocrazia locale e nazionale potesse tradurre l’idea in azione?
Ora a rileggere l’intervista c’è l’amara constatazione che volendo mettere una “pezza alla bell’e meglio acconciata” il Governo in carica pensa di ricorrere ai privati scaricandogli un 70% di contributi fondi e tenendo per se un 30% di fondi. Una follia organizzativa e un disastro attuativo. Perché se anche fosse accettato, significherebbe per i privati distrarre nei prossimi due/tre anni la maggior parte delle loro energie produttive, immaginando di realizzare quanto scritto nel Pnrr senza aver preso parte alla sua impostazione. Converrebbe dunque ammettere che il “troppo stroppia” e di conseguenza ridurre ad unitatem, per quanto possibile, questa selva di 60 mila progetti sparsa per tutte le Istituzioni del Paese (solo per curiosità, basti vedere la proliferazione di proposte di ricerca presentate dalle Università). Ma così agendo molti saranno scontentati ed altri si sentiranno privilegiati: la misura non è tra quelle che fanno aumentare i consensi per un Governo.
Qui però ricordiamo le parole di insediamento della Premier Meloni, quando disse che non avrebbe esitato per il bene comune ad adottare misure e provvedimenti anche impopolari ma necessari. Questo è uno dei casi che si presenta alla sua attenzione. Certamente mantenere inalterato il totale orami consolidato (100 miliardi!) e tentare di farci stare solo i progetti di cui si ha bisogno per colmare quel gap riconosciuto. E anche qui bisogna intendersi. Il gap c’è nel settore energie e sostenibilità, nell’utilizzo delle nuove tecnologie in molti settori primo fra tutti quello del welfare e della sanità, ma non di meno la prospettata rimodulazione del Pnrr non ha per ora tenuto conto della cultura e della formazione dei giovanissimi come avrebbe dovuto. Allora, un Pnrr che disegna il futuro per quelli che già ci sono e non per quelli che ci saranno, è un grave errore prospettico della politica del nostro Paese. Vale la pena metterci mano adesso, vista la complicazione prodotta da burocrazia amministrativa e gestionale, per trovare – qui la visione nuova – insieme ai giovani e giovanissimi del Paese quel Pnrr che serva loro più che a noi. Una visione politica di ampio respiro che dimostrerebbe di avere una strategia di governo, piuttosto che un “rattoppo alla bell’e meglio” per il quale ci stiamo adoperando. È la differenza tra occupare la poltrona di Presidente del Consiglio e l’essere il Presidente del Consiglio di quei giovani che pure costituiscono la base elettorale del partito di Fratelli d’Italia, ai quali, per dirittura morale, un qualche riscontro bisognerà pur dare. D’altronde hanno tutto il diritto di averlo. E noi pure.