Il Medio Oriente è scosso dalla instabilità. La Siria ha vissuto ieri una giornata storica, con la fine dell’ultracinquantennale dittatura degli Assad. Cosa accadrà nei prossimi mesi resta naturalmente un’incognita.
È davvero un periodo di assoluta instabilità quello che sta vivendo il mondo. L’epicentro è sito nel Medio Oriente, e la cosa riguarda tutti ma soprattutto noi europei affacciati sul Mar Mediterraneo. Gli Stati Uniti neoisolazionisti di Donald Trump hanno già fatto sapere che non se ne occuperanno, del nuovo caos siriano. Bisognerà vedere se sarà davvero così, perché in questo caso dovranno abbandonare le postazioni ubicate nei territori sotto controllo curdo e sulla frontiera siro-giordana dove vi sono al momento 900 militari a stelle e strisce.
In pochi avrebbero immaginato una così rapida caduta del regime di Assad. Col sostegno iraniano e ancor più russo il dittatore aveva vinto una lunga e tragica guerra civile riuscendo così, unico fra i despoti dell’area deposti in seguito alle Primavere Arabe del 2010/2011, a rimanere al potere sia pure senza avere un controllo totale del proprio territorio nazionale.
Sono dunque molti gli interrogativi che si aprono all’indomani di questi eventi straordinari. Come è stata possibile la così rapida avanzata da nord dei ribelli insorti, guidati dal gruppo jihadista Hayat Tahnr al-Sham (HTS)? Ben armati e ben addestrati, è davvero difficile immaginare che abbiano fatto tutto da soli, senza un qualche aiuto esterno.
Desta una certa impressione anche la tempistica, ovvero un momento nel quale gli alleati del tiranno attraversano forti difficoltà in seguito al violento attacco israeliano in Libano (Hezbollah); alla paura di dover davvero affrontare militarmente l’odiato ma temuto nemico sionista (l’Iran); al notevole impegno bellico in Ucraina nello sforzo finale per arrivare alla trattativa di pace in una posizione di maggior forza (la Russia).
Il dubbio, dunque, è che non solo la Turchia abbia voluto e saputo cogliere il momentum. Perché – sino a quando non si vedrà quali sono gli indirizzi politici che prenderanno i probabili nuovi governanti di un paese distrutto e comunque, non lo si dimentichi, estremamente variegato sotto il profilo religioso e non solo – è evidente quali sono gli attori regionali che potrebbero godere di un vantaggio strategico dalla nuova situazione generatasi a Damasco: Turchia e Israele. E quali sono gli sconfitti: Iran e Russia.
Molto però può ancora accadere ed è dunque presto per avere certezze circa il futuro. Ma alcuni elementi di immediata osservazione si possono quanto meno elencare, salvo una futura analisi più specifica e puntuale.
La Turchia mostra una volta di più d’essere pronta a sostenere e anche, se possibile, a guidare nell’area del Levante una rinascita sunnita diffusa e quindi conferma la propria volontà competitiva con l’Arabia Saudita all’interno del mondo sunnita. Oltre a ciò una sua certa vicinanza ai nuovi probabili governanti siriani sarà finalizzata da un lato a far rientrare nel paese la più parte dei quattro milioni di profughi da anni accampati entro i propri confini e dall’altro a comprimere ulteriormente lo spazio vitale del popolo curdo, una cui parte – sotto l’egida dell’SDF (Forze Democratiche Siriane) – occupa oggi una larga porzione del territorio nord-orientale siriano, ai confini turchi e iracheni.
Israele ovviamente non può che gioire, in quanto la caduta del regime sciita di fede alawita degli Assad è una sconfitta per l’Iran ed una batosta per Hezbollah. D’altro canto, Gerusalemme nutre anche comprensibile inquietudine a fronte di un vicino che si presenta con credenziali jihadiste. E infatti l’IDF (le Forze Armate israeliane) ha subito collocato rinforzi presso le alture occupate del Golan, nella zona demilitarizzata. Per ora.
L’Iran perde un importante alleato e soprattutto perde il territorio che conduceva al mare il famoso “corridoio sciita”. E il proprio movimento proxy, Hezbollah, perde profondità logistica. Ma soprattutto dimostra la propria attuale debolezza, non avendo neppure potuto abbozzare una difesa del regime amico e fratello di fede.
E infine la Russia. Che aveva puntato molto sulla Siria, suo punto di presenza strategica nel Mediterraneo. E che rischia ora di perdere i suoi terminali logistici di Tartus (porto) e Latakia (aeroporto). Eventualità che il Cremlino non può accettare, e infatti pare che nel corso dei colloqui in corso a Doha fra Iran, Turchia e la stessa Russia il ministro degli Esteri Lavrov ha posto quale termine principale della trattativa (ammesso che sia realmente tale, e che serva a qualcosa, nel nuovo contesto politico) proprio la salvaguardia di quelle infrastrutture.
La Siria ha vissuto ieri una giornata storica, con la fine dell’ultracinquantennale dittatura degli Assad. Cosa accadrà nei prossimi mesi resta naturalmente un’incognita, anche se l’avanzata dei ribelli non è stata contrastata e quindi le perdite di vite umane e le violenze sono state ridotte al minimo. Abu Mohammed al-Jolain, il cui vero nome (con il quale da ieri ha cominciato a farsi chiamare) è Ahmed al-Sharaa, sta mostrando un volto presentabile agli occhi del mondo, cercando di temperare l’estremismo jihadista-sunnita che ha connotato sin qui la sua vita e il suo movimento. Non bisogna sottostimare, in effetti, una storia iniziata con l’ISIS, proseguita con al-Qaeda e infine approdata al meno radicale HTS, il movimento che congiuntamente all’Esercito Nazionale Siriano alleato della Turchia ha condotto la vittoriosa offensiva di questi ultimi dieci giorni.
La composizione variegata della realtà siriana, nonché le disastrate condizioni dell’economia, richiederebbe uno spirito di concordia auspicabile ma tutto da verificare: il pluralismo religioso ed etnico del paese (alawiti sciiti, sunniti, drusi, cristiani, drusi) è componibile in un quadro d’insieme solo in un clima di pacificazione nazionale, unica alternativa al rischio di frammentazione incombente o, per converso, ad una nuova dittatura questa volta meno laica e più integralista ma egualmente spietata. Le prossime settimane ci diranno quale piega prenderanno gli avvenimenti, quali decisioni assumeranno i “liberatori” del popolo siriano dal giogo di Assad.